La Sicilia dei Florio. Storia di leoni, perle e…scatolette

Pensate mai al genio e alla capacità visionaria di una famiglia di mercanti di spezie ogni volta che aprite una scatoletta di tonno?

Vi siete mai imbattuti nell’immagine di un leone che sembra abbeverarsi lungo un fiume, magari su un’etichetta di vino Marsala, una di quelle di inizio Novecento?

Avete mai sentito parlare di una collana lunga sette metri composta da 365 perle? E della donna che la indossava e che Gabriele D’Annunzio amava chiamare l'<Unica>?

Prima parte del viaggio, rigorosamente imperfetto, nei luoghi dei Florio, la grande famiglia di commercianti, armatori e mecenati che per più di un secolo dominarono la scena imprenditoriale palermitana e italiana.

Il Villino Florio a Palermo e il Parco dell’Olivuzza che non c’è più

Partiamo da qui. Dal Villino Florio, in viale Regina Margherita a Palermo, una splendida villa Art Nouveau ideata dall’architetto Ernesto Basile tra il 1899 e il 1902 e commissionata da Ignazio Florio Junior per il giovane fratello Vincenzino.

Un tripudio di vetrate policrome, saloni, torrette, merlature e capitelli che hanno ospitato feste e grandiosi ricevimenti, tutto il bel mondo e l’aristocrazia siciliana e internazionale della Belle Époque.

Tre livelli, tre distinti piani, rispettivamente dedicati allo svago, all’accoglienza e ultimo, il più alto, utilizzato come area privata, sono ciascuno massima espressione dello stile Liberty in Italia, con motivi floreali ovunque: fiori e foglie sulla carta da parati, nelle strutture in ferro battuto all’esterno e in terrazza, nelle decorazioni lignee presenti sui tre livelli sino al <ramage> che occupa l’intero soffitto al termine della scala principale.

Ph Guido Antonio Sorano - Villino Florio
Ph Guido Antonio Sorano – Villino Florio

In realtà il Villino Florio è solo una piccola parte di una assai più grande proprietà immobiliare che occupava le odierne piazza Principe di Camporeale e piazza Sacro Cuore, via Oberdan, parte di via Dante, corso Finocchiaro Aprile.

Un’intera contrada, un tempo <l’Olivuzza>, ricca d’acqua, coltivata e alberata, considerata il giardino di Palermo, quello delle élites però, perché qui avevano avuto le loro ville e residenze estive le più prestigiose famiglie nobiliari: il principe di Belmonte, il duca di Monteleone, la principessa di Butera Caterina Branciforti, persino la zarina Alexandra Fedorovna, moglie dello zar Nicola I che, nell’autunno del 1845, scelse l’Olivuzza per soggiornarvi e curare al sole di Sicilia quello che allora veniva chiamato <mal sottile>, la tubercolosi.

Nella seconda metà dell’Ottocento, anche i Florio decisero di acquistare all’Olivuzza un’enorme tenuta di cui, abbiamo già detto, il Villino ne è solo una porzione ma anche espressione del periodo di massimo fulgore. A comprare l’intera tenuta all’Olivuzza fu Vincenzo Florio che qui morì poco dopo, nel 1868. Vi si trasferirono in seguito il figlio Ignazio con la moglie Giovanna D’Ondes. I loro figli, Ignazio Junior, Vincenzino e Giulia erediteranno un impero che in poco tempo e in anni non così lontani dalla costruzione del villino Florio, cadrà in mille pezzi.

Di quel mondo all’Olivuzza resta solo il Villino Florio; tutto il resto fu smembrato e venduto. Ogni singola parte è passata di proprietario in proprietario con destinazioni differenti nel tempo; alcune sono state abbandonate e versano in stato di abbandono, altre sono oggi occupate da enti e istituzioni.

Anche il villino ha rischiato di scomparire, inghiottito dalla lottizzazione dell’area e dalla successiva costruzione di immobili che nel tempo hanno preso il posto di parchi e giardini. Nel 1962 un incendio di natura dolosa lo ha gravemente danneggiato e l’odierno aspetto è il risultato di un’attenta opera di ristrutturazione della Regione Siciliana. Oggi il Villino Florio è visitabile e del tutto gratuito.

Si ringrazia il fotografo Guido Antonio Sorano per le splendide foto del Villino Florio.

Borgo Vecchio a Palermo. Da via dei Materassai alle stelle

Li hanno definiti <regnanti senza corona> (Vincenzo Prestigiacomo, Nuova Ipsa Editore). I Florio, a inizio Novecento sono una famiglia celebre in tutta Europa, potente, ricchissima. Eppure l’epopea dei Florio inizia da una piccola e malmessa bottega di spezie al Borgo Vecchio di Palermo, assai lontano da sfarzo e nobiltà.

I primi Florio erano calabresi e lasciarono Bagnara al principio dell’Ottocento per raggiungere la Sicilia in cerca di fortunaPaolo Florio con la moglie Giuseppa Safflotti e il piccolo Vincenzo insieme allo zio Ignazio si trasferirono in via dei Materassai e trasformarono una modesta aromateria in un’avviata e remunerativa attività commerciale.

Oggi in via dei Materassai non c’è nulla che ricordi i Florio ma è facile immaginare Giuseppa e il piccolo Vincenzo apparire negli stretti vicoli, uscire dalla chiesa di Santa Maria La Nova, passare accanto piazza San Giacomo La Marina. E magari seguire Paolo e il fratello Ignazio lungo via Argenteria Vecchia e via dei Cassari, lì dove oggi ci sono i banchi della Vucciria e Santa Rosalia appare sui muri e sulle saracinesche delle botteghe. E poi vederli scendere giù verso la Cala, al porto, in attesa che i carichi di zafferano, salsapariglia, cannella, noce moscata, cassia, rabarbaro, garofano partissero e quelli di genziana, valeriana ma anche cioccolato, zucchero e caffè arrivassero.

È qui, tra sommacco e pepe che nasce la leggenda dei Florio il cui simbolo è il leo bibens, il leone febbricitante che beve l’acqua che scorre accanto le radici degli alberi di china in bella mostra sull’insegna della bottega di via dei Materassai. Perché il carico più prezioso e ricercato era quello del cortice, la polvere della corteccia triturata dell’albero di china, al tempo un potente e diffuso antipiretico che i Florio vendevano, contestati dai farmacisti locali e invidiati per la rapida ascesa e i solidi rapporti con i più abili commercianti inglesi.

Vi dice niente il nome Benjamin Ingham? Fu con lui che il giovane Vincenzo comprese la portata della rivoluzione industriale in Gran Bretagna e portò a Palermo la prima macchina per trasformare la corteccia dell’albero di china in una polvere finissima.

Riuscite a vederli mentre chiudono i migliori affari nella vicina Piazzetta delle Dogane? Lì dove entravano le merci sottoposte a dazio che poi venivano trasferite e conservate in un’area del leggendario Palazzo Chiaramonte Steri, oggi complesso monumentale, in attesa che i diritti di dogana venissero pagati.

Palazzo Chiaramonte, noto come lo “Steri”, è uno dei luoghi simbolo della città di Palermo. Racchiude sette secoli di arte e di storia della Sicilia
Foto web – Palazzo Chiaramonte, noto come lo “Steri”, è uno dei luoghi simbolo della città di Palermo. Racchiude sette secoli di arte e di storia della Sicilia

I Florio non sono più <putiari>. La Palazzina dei Quattro Pizzi all’Arenella

Ad appena una quarantina d’anni dall’arrivo di Paolo e Ignazio Florio da Bagnara, <putiari>, proprietari di bottega in maniche di camicia, Don Vincenzo, figlio e nipote prediletto, futuro Senatore del Regno d’Italia, commissiona all’architetto padovano Carlo Giachery la riconfigurazione a residenza di larga parte dell’antica tonnara dell’Arenella a Palermo.

La Palazzina dei Quattro Pizzi dei Florio all'Arenella
La Palazzina dei Quattro Pizzi dei Florio all’Arenella – Palermo

Nasce così la Palazzina dei Quattro Pizzi, con le inconfondibili torrette angolari cuspidate ai quattro lati, guardiana sul mare che la lambisce, protetta alle spalle dal monte Pellegrino, giusto biglietto da visita del potere crescente di una famiglia di imprenditori: residenza di rappresentanza edificata su un’antica tonnara in attivo sino al 1912 e sede negli anni di un mulino a vento per la molitura del sommacco da cui si estraeva il ricercato tannino.

La residenza dei Florio doveva stupire il visitatore, incantarlo con la sua architettura fuori dal comune e lo sfarzo degli ambienti. Il salone al primo piano a cui un tempo si accedeva attraverso un lungo terrazzo maiolicato desta ancora oggi meraviglia e stupore.

Lo attraversarono anche  lo zar di Russia Nicola I e la zarina Alessandra in visita nel 1845 e ne rimasero così impressionati da volerne fare una copia, la <Renel&quot>, nella residenza estiva di Snamenka vicino San Pietroburgo andata distrutta con la Rivoluzione d’Ottobre.

La Palazzina dei Quattro Pizzi. Sul piano, il dettaglio della residenza voluta dallo zar di Russia
La Palazzina dei Quattro Pizzi. Sul piano, il dettaglio della residenza voluta dallo zar di Russia

Quando, quasi un secolo dopo, l’impero dei Florio cadde, la palazzina dei Quattro Pizzi si salvò dallo sfacelo grazie a Donna Lucie Henry, seconda moglie di Vincenzo Junior. La vendita dei suoi diamanti leggendari passò alla storia come atto d’amore per il marito con il quale si trasferì all’Arenella.

Ancora oggi la vecchia tonnara ospita la residenza degli eredi di quel mondo che non c’è più ma che, con passione, continuano a custodire e far conoscere attraverso la fondazione Casa Florio che gestisce le visite al sito e organizza eventi.

Visitare Casa Florio significa ammirare i motivi e i disegni di Salvatore Gregorietti che in larga parte riprendono quelle della sala Ruggero II nel Palazzo dei Normanni. Si alternano alle epiche gesta dei paladini dipinti dal maestro di Bagheria Emilio Murdolo secondo lo stile tradizionale dei carretti siciliani.

Restano i cimeli dell’epoca di Ignazio Junior e della moglie Franca:  il set da toletta, il barometro originale del Sultana, uno dei lussuosi yacht privati della famiglia, le ceramiche Florio con il simbolo del cavalluccio marino, gli abiti, le immagini e gli articoli del quotidiano l’Ora, fondato da Ignazio Junior.

Vincenzo Junior e Lucie Henry sono poi ovunque all’Arenella: nei quadri che lui si dilettava a dipingere, nella sezione dedicata alla Targa Florio da lui ideata, nelle splendide foto che li ritraggono ed in particolare in una dolcissima e un po’ malinconica, divenuta immagine simbolo di Casa Florio.

Vincenzo Junior e Lucie Henry
Foto web – Vincenzo Junior e Lucie Henry

Infine un vecchio armadio con ancora impressi i nomi delle spezie sui singoli cassetti. Era di Paolo Florio e risale all’aromateria da cui tutto ha avuto inizio e fa parte della residenza privata dei Florio.

All’Arenella fate caso ai <quattro pizzi>, le quattro cuspidi che hanno dato il nome al villino. Una fu danneggiata nel terremoto del 1968 e ricreata dall’artista Domenico Pellegrino secondo uno stile evocativo che ricorda le luminarie della tradizione e una modernità decisamente pop. In definitiva la contaminazione ideale tra vecchio e nuovo riaccendendo un “faro” su una famiglia che ha fatto la storia in Sicilia.

Di cialome e di tonno. E di scatolette pure

Ripartiamo da una tonnara. Il settore della pesca e della caccia del tonno costituì uno dei primi tentativi dei Florio di estendere i propri commerci e diversificarli dall’esclusiva vendita di spezie.

Non è un caso che la prima residenza di rappresentanza nascesse proprio all’interno di una tonnara. In pochi anni Vincenzo trasformò l’intuizione iniziale dello zio calabrese Ignazio in un vero e proprio business. I Florio riuscirono in poco tempo a gestire tutte le tonnare della zona tra cui quella di San Nicolò l’Arena, Vergine Maria, Isola delle Femmine…

Riuscire a visitarne una è un viaggio in un mondo fatto di tradizioni e bellezza sullo sfondo di una lotta antica tra uomo e pesce ben diversa dalla caccia esasperata e dannosa che caratterizza le odierne tonnare volanti.

Con viaggimperfetti siamo già stati alla tonnara di Scopello. Ne abbiamo scoperto la corte interna, i depositi, gli alloggi, la rimessa delle barche, la cappella dei Gesuiti, i faraglioni a guardia di una realtà fatta di riti e regole ben precise.

Ma per capire quanto il nome dei Florio sia legato alle tonnare in Sicilia è necessario spostarsi a Favignana e presso l’intero arcipelago delle Egadi di cui, a partire dal 1841, Vincenzo prima, Ignazio poi furono dominus incontrastati. Fu Vincenzo a capire che conservare il tonno sott’olio e non sotto sale come si usava all’epoca era molto più remunerativo e salubre; Ignazio a portare a termine l’dea rivoluzionaria del padre: inscatolare i tranci di pesce in comode scatolette rivestite di stagno con apertura a chiave. Nasceva il tonno a marchio Florio delle tonnare di Favignana e Formica in uno degli stabilimenti più all’avanguardia per l’epoca .

L’ex stabilimento è oggi uno splendido museo.

Dopo la vendita degli stabilimenti ai Parodi, il marchio Florio tornerà negli anni ottanta grazie a Nino Castiglione, semplice operaio ad inizio Novecento i cui eredi creano una linea in onore della storica famiglia con preziose scatolette su cui, ancora una volta, appare il leo bibens, il leone dei Florio.

Marsala. Il Leo Bibens è passato anche da qui

Il leo bibens è ben visibile in un altro stabilimento in Sicilia dove, ancora oggi, si produce vino eccellente. Ci spostiamo a Marsala, patria del vino liquoroso che, tradizione vuole, il commerciante inglese John Woodhouse assaggiò a fine Settecento e trasformò negli anni a seguire in uno dei business più redditizi del tempo. A lui seguì Benjamin Ingham e, guarda un po’, proprio Vincenzo Florio che cominciò a produrre il vino apprezzato in tutta Europa.

Oggi il marchio Florio è stato acquisito dalla famiglia Reina e riunito in un’unica realtà con altri due brand storici: Corvo e Principe di Salaparuta. Tre etichette siciliane che oggi si presentano nel baglio di Marsala: 44.000 mq di superficie, ampi archi a sesto acuto e pietra di tufo voluta da Vincenzo Florio nel 1832.

L’esperienza Florio è stata rivisitata con una nuova e bellissima sala degustazione; l’odierna enoteca è dalle linee  accattivanti e minimal; le riproduzioni al neon delle più note locandine pubblicitarie dedicate al mito dei Florio attirano l’attenzione del visitatore facendo rivivere gli anni della Targa Florio, quando la corsa automobilistica nelle strade tortuose delle Madonie tra Castelbuono e Geraci attirava appassionati da tutto il mondo, le copertine di Rapiditas, il giornale ufficiale della corsa, erano rese uniche dagli artisti del tempo e i Florio erano i maggiori impresari del Teatro Massimo di Palermo.

A Marsala, resta però come una volta l’antica bottaia, il suo profumo di cantina che si mischia alla brezza di mare, le botti in rovere rosso di Slavonia.

Qui si fermò Garibaldi, qui Ignazio decideva le nuove strategie per rendere il marchio di famiglia il più famoso e competitivo, da qui partivano le navi che portavano il Marsala dei Florio in giro per il mondo. Ve ne ho già parlato? Vincenzo Florio fu il primo a capire che la vera ricchezza sarebbe arrivata investendo nel trasporto di merci e persone e nel 1840 intraprese un’attività armatoriale su grande scala fondando con Ingham e più di altri 100 soci la Società dei Battelli a Vapore Siciliani. I Borboni prima, i Savoia più tardi gli assegnarono le concessioni per il servizio postale. E per essere certi che operai qualificati fossero in grado di creare e sostituire parti meccaniche, Vincenzo nel 1841 acquisì anche la Fonderia Oretea la cui ghisa e il cui ferro contribuirono in larga parte alla realizzazione della Palermo Liberty di inizio Novecento.

Qualche anno dopo con Ignazio, i Florio furono a capo con Rubattino della Navigazione Generale Italiana con una flotta di piroscafi che facevano la spola tra Genova, Napoli e New York.

Dalle viscere della terra. I Florio e lo zolfo in Sicilia

Ingham fu socio di Vincenzo anche nella Anglo Sicilian Sulphur Company Limited. Avete mai sentito parlare della produzione e del commercio dello zolfo in Sicilia? Quella siciliana sembrava essere una miniera inesauribile e lo zolfo siciliano era il più venduto e ricercato per essere lavorato nelle fabbriche che stavano nascendo ovunque in Europa.

A pagare il prezzo più alto furono uomini e soprattutto bambini impiegati nelle miniere sparse nell’agrigentino, nell’ennese e nel nisseno e persino nel palermitano e nel catanese: file continue e costanti di esseri umani che scomparivano in profonde gallerie ed emergevano carichi di pesanti ceste di pietre gialle.

Quando, a partire dalla fine dell’Ottocento, la richiesta cadde e le miniere cominciarono a chiudere una dopo l’altra, in tanti emigrarono lasciando la Sicilia. Oggi molti siti sono in stato di abbandono, in alcuni sono stati allestiti musei come a Trabia Tallarita e a Cozzo Disi di Casteltermini. A Villarosa e Villapriolo , nel nisseno, è possibile fare un viaggio in quel mondo grazie ad un percorso nella storia delle miniere di zolfo e nella vita di quanti furono costretti ad emigrare. Lo si fa partendo dalla stazione ferroviaria, dove un tempo i carichi di zolfo partivano per raggiungere l’Europa, e con la visita delle case museo di emigrati ed ex minatori.

Per continuare il viaggio

I libri che consiglio:

I Florio. Storia di una dinastia imprenditoriale – Orazio Cancila, Rubettino editore. Un valido strumento di approfondimento e un attento racconto che parte dai Florio in Calabria.

I leoni di Sicilia e L’inverno dei leoni. La saga dei Florio – entrambi di Stefania Auci, Editrice Nord. Impossibile non appassionarsi alla saga dei Florio attraverso le pagine di questi romanzi. Bestsellers che hanno fatto rivivere le vicende dei Florio arrivati a Palermo ad inizio Ottocento a migliaia di lettori.

Un grazie speciale a Barbara Mazzola, guida turistica appassionata; a Guido Antonio Sorano, fotografo, che ha impreziosito questo articolo con le foto del Villino Florio.

A breve su viaggimperfetti la seconda parte del viaggio dedicato ai Florio…

35 commenti Aggiungi il tuo

  1. rchiarappa ha detto:

    Ho letto il libro della Auci e ne aspetto il secondo sulla massima ascesa e il declino di questa grande famiglia che ha portato la Sicilia nel mondo.
    E già mi era tornata la voglia di tornare a Palermo per andare alla ricerca della città dei Florio. Leggendo questo tuo bellissimo articolo la voglia è raddoppiata!

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    1. dettabroad ha detto:

      C’è tanto da scoprire Rosalia e per una donna appassionata di storia come te i Florio potrebbero diventare una calamita. Per me che sono siciliana i Florio sono ovunque sul territorio e seguirne le tracce significa davvero capire storia e dinamiche di una bella fetta di tempo. Un viaggio che potrebbe essere infinito perchè, in uno strano gioco di richiami e incastri, una pagina richiama l’altra…

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      1. Graziella Piras ha detto:

        Una storia che mi ha incantata e ancora mi inebria quando sento parlare dei Florio. Grande dinastia che ha fatto grande Palermo!

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      2. dettabroad ha detto:

        Graziella la penso come te. Ha fatto grande Palermo e tutta la Sicilia. Peccato il mancato lieto fine. Che tristezza…

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  2. Giusy Barbie ha detto:

    Sto leggendo ” i leoni di Sicilia ” la sera a letto x cui mi addormento con la visione dei luoghi dei Florio , xke vivo a Palermo, e questa mattina svegliarmi a trovare questo bellissimo articolo , mi ha nuovamente trasportato in quei luoghi magici che sono assolutamente da,visitare. Grazie a Stefania,conosciuta in libreria in occasione della dedica sul libro che conserverò gelosamente.

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    1. dettabroad ha detto:

      Mi sarebbe piaciuto tanto incontrarla. Anch’io mi sono emozionata leggendo il suo romanzo. Ha saputo far rivivere pagine di storia che a volte sbiadiscono o restano frammentarie rischiando di perdere la potenza e grandezza dell’insieme. Per quanto riguarda il mio articolo grazie mille. Le tue sono parole preziose per me.

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  3. Antonio Florio ha detto:

    Per chi si chiama Florio ed è nato a Bagnara è sempre un tuffo al cuore trovare articoli sui Florio e un salto nel passato. La descrizione dei fatti è cosi intensa che mi è parso di stare li. Il mio augurio è di visitare al più presto quei luoghi ed entrare nella storia. Grazie per l’emozione provata. L’ho inviata subito ai miei fratelli e parenti.

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    1. dettabroad ha detto:

      Sono io a ringraziare te. Le tue parole mi emozionano perché sono riuscita a trasmettere il mio desiderio di costruire e fare questo viaggio. Quante avventure, storie da scoprire. Sembra quasi di non riuscire a fermarsi…a partire dai Florio che vissero a Bagnara. Cancila nel suo libro ne parla tanto ed è un tuffo nel passato della tua Calabria. Grazie ancora

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  4. Antonino ha detto:

    Io sono un calabrese grande ammiratore della magnifica famiglia Florio , mecenati imprenditori amanti delle cose belle lungimiranti. Purtroppo il Sud ha avuto poche famiglie come i Florio. I compenso in senso negativo abbiamo adesso solo famiglie mafiose.Povero Sud non riuscirà mai ad affrancarsi dal sottosviluppo.

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    1. dettabroad ha detto:

      Hai usato un aggettivo, lungimirante. A me piace pensare che ci sia sempre una Sicilia così, bella, pulita, intraprendente e forte come i Leoni. Che sa guardare al futuro. Devo e voglio crederlo. Altrimenti sarei già andata via. Grazie Antonino!

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  5. simonedda ha detto:

    Mi hai fatto fare un viaggio nella vita di una famiglia e della sua dinastia di cui non sapevo nulla. Quante meravigliose personalità ha partorito il nostro sud?
    Villino Florio ha un che di surreale circondato dagli edifici moderni. Sento che entrarvi per me sarebbe come immergermi nella Belle Epoque..

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    1. dettabroad ha detto:

      Dove ci sono quei palazzi, immagina una distesa di viali alberati, un piccolo lago, un tempietto e la vista aperta sino alla Cala, al mare di Palermo. Era un polmone verde. Era l’Olivuzza. Purtroppo ci hanno costruito sopra e non é un bel capitolo della storia della mia Sicilia. Per questa e per tante altre ragioni Villino Florio resta un tesoro recuperato da tutelare assolutamente.

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  6. Maria Pia Casamento ha detto:

    In noi siciliani manca l’orgoglio dei Florio, pensiamo che non ci sia più niente da fare in una terra che é stata calpestata da tanti invasori che hanno portato via tanto… Ma nn é vero, nn dobbiamo arrenderci, I Florio ci hanno insegnato come essere leoni…

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    1. dettabroad ha detto:

      E noi lo siamo😉😀 la nostra Sicilia è troppo preziosa…

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  7. Katja ha detto:

    Ah ecco, ti stavo per chiedere se fossero gli stessi Florio del libro I leoni di Sicilia che arrivata in fondo all’articolo ne parli! E’ un libro di cui ho sentito solo belle recensioni e devo leggere al più presto.

    Diciamo che oltre al libro da leggere assolutamente, mi sono innamorata di quella bella casa particolare in stile Liberty e della storia dei Florio.

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    1. dettabroad ha detto:

      Leggi il libro, te lo consiglio di cuore, e mettiti anche tu sulle tracce dei Florio! Sono certa che ne verrà fuori qualcosa di speciale!

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  8. Giusy ha detto:

    Articolo bellissimo e interessante, corredato da belle foto, solamente se non ho letto male, si parla della Tonnara di Favignana, mentre la foto postata è quella della stupenda Tonnara di Scopello.

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    1. dettabroad ha detto:

      Proprio così Giusy. È la tonnara di Scopello dove ho lasciato il cuore. Favignana non la conosco purtroppo e spero di andarci prestissimo. Grazie mille per le tue parole 🙏

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  9. Abirbhav ha detto:

    Sai come affascinare il pubblico, Benedetta. Mi sentivo come se fossi lì con te in Sicilia, con te che mi spiegavi tutti i dettagli e la storia della famiglia Florio.
    È triste sapere della prevalenza del lavoro minorile nei tempi antichi. Pensavo che una simile pratica non fosse mai esistita in Europa. Non sorprende che la Sicilia abbia depositi di zolfo. Ogni area vulcanica dovrebbe avere quei depositi.

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    1. dettabroad ha detto:

      Purtroppo sì Abir, è un fenomeno che esisteva fino al secolo scorso. Fortunatamente ora esistono tutele per i lavoratori e soprattutto per i bambini. Grazie per le tue parole

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      1. Abirbhav ha detto:

        Sei sempre il benvenuto Benedetta..

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  10. Raphael ha detto:

    Ho letto “I Leoni di Sicilia” e “L’Inverno dei Leoni”, due librli che ho divorato e mi hanno fatto scoprire una Dinastia che tra il 1800 e il 1900 ha portato Palermo e la Sicilia ad essere una realtà paragonabile solo lla Parigi e Londra dei tempi d’oro. L’Expo del 1892 fu la ciliegia sulla torta!!! Avere una macchina del tempo, vorrei arrivare e vedere la tonnara, l’olivuzza, la profumeria degli inizi….

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    1. dettabroad ha detto:

      A chi lo dici! A volte mi ritrovo in via Materassai e provo ad immaginare. La zona dell’Olivuzza poi doveva essere un paradiso. Chissà l’Esposizione…

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    2. Raphael ha detto:

      scusatemi gli errori, ma nella fretta a da cellulare mi sono accorto solo dopo pubblicazione!

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      1. dettabroad ha detto:

        Ma figurati!

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