Se a Portella della Ginestra ci vai in un giorno qualunque senti solo lo scampanellio delle mucche al pascolo tra le grosse pietre che ricordano la strage del 1°maggio del 1947:una folla di contadini in festa su cui fu aperto il fuoco. Undici morti e decine di feriti, tante donne e bambini. Questi i fatti.
I piccoli menhir di Ettore De Conciliis qui ti raccontano tante storie, difficili da capire ancora oggi, dopo 70 anni. Ne ascolto una, quella che mi arriva più nitida da quelle pietre, la storia di persone semplici salite a Portella in un giorno di festa con, in mente, l’idea di una vita migliore, il sogno di una vita più giusta, la più grande delle utopie.
Portella della Ginestra è appena fuori il centro abitato di Piana degli Albanesi. Ci vuole poco per raggiungerla, appena una ventina di chilometri da Palermo prendendo la 624. Eppure sembra di oltrepassare un limite invisibile, un luogo lontano dal clamore e dalle “banniate”, le grida cantilenate dei palermitani. Erba tenera e sassi arsi puntuti contro il cielo azzurro. La Riserva Naturale Orientata di Serre della Pizzuta lungo i cui sentieri ciclisti e viandanti si arrampicano come stambecchi. Silenzio.
Mi fermo a Piana degli Albanesi in un bar che si affaccia sul lago omonimo. Caffè e ricotta mentre cerco di afferrare anche solo una parola tra la proprietaria del bar e un’altra donna che parlano in arbereshe, la lingua della comunità albanese, qui forte e radicata con i suoi riti e tradizioni lontane. Le due donne mi spiegano che in realtà l’albanese che parlano è sempre più “imbastardito”, contaminato dall’italiano, dal dialetto siciliano.
Sento ancora la ricotta del cannolo in bocca mentre girovago tra le strade di Piana. Difficile trovarne di così buoni. Le indicazione stradali sono in italiano e in arbereshe e stanno vicine alle targhe di via Boris Giuliano, Pio La Torre, Piersanti Mattarella, Placido Rizzotto. Va così in questo pezzo di Sicilia. Dolce e amaro. Miele e fuoco.
Si rimane incantati visitando Rocca Busambra e la riserva di Bosco della Ficuzza. Fauna e flora uniche al mondo, un’area tanto particolare per biodiversità che Ferdinando di Borbone ci fece costruire la sua riserva privata di caccia, la Real Casina con il dio Pan e la dea della caccia Diana sulla facciata principale. A Rocca Busambra, in uno scenario da favola, tra quelle pietre, fu gettato il corpo di quel Placido Rizzotto ricordato sulla targa di una strada di Piana degli Albanesi, il sindacalista corleonese ucciso per mano mafiosa nel 1948 ad appena un anno dalla strage di Portella della Ginestra. Miele e fuoco.
Il suo nome sta anche sull’etichetta del bianco e del rosso IGT prodotto da Centopassi, l’anima vitivinicola delle cooperative Libera Terra che coltiva le terre confiscate alla mafia in Sicilia. Vigne nell’Alto Belice Corleonese, paesaggi belli da far male, dove, grazie a una conduzione rigorosamente biologica, nascono uve Cataratto, Grillo, Syrah e Nero d’Avola buone due volte. Negli agriturismi gestiti da Libera terra, uno a Corleone, l’altro a Portella della Ginestra, ci trovate anche i legumi, le conserve e tanti formati di pasta.
Arrivo sino a Corleone. Voglio vedere la cascata delle due Rocche. Non è facile arrivarci anche se le indicazioni non mancano. Mi inerpico lungo le strade strette del paese, e mi perdo. Così chiedo aiuto a una signora circondata da bambini impegnati a giocare in piazza. Mi dice di andare a sinistra. Da dietro il suo grembiule mi arriva un “Nonsì, a destra bisogna andare”. E’ la voce di un ragazzino con gli occhi furbi e le guance sporche di terra che mi indica la strada opposta.
A volte ci sono più strade per raggiungere l’obiettivo. Tutti cercano di arrivarci nel modo migliore.
Che paesaggi magnifici mi vien voglia di prendere il primo volo 😉
Buon 1 Maggio!
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a te Lilly…anche se in ritardo!
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