Vi è piaciuta la prima parte del racconto di Nicoletta Poggi in Guatemala? Allora date un’occhiata alla seconda parte di questo splendido viaggio. Scoprirete come mangiare marshmallow in cima ad un vulcano e prendere parte a una lezione di zumba con le donne del posto. E infine, una sorpresa a fine viaggio: la natura esplosiva e il mare incontaminato del Belize!
“Il quinto giorno in terra guatemalteca prevede la salita a piedi sul vulcano Pacaya, alto più di 2500 metri, uno dei tanti attivi, che però è possibile visitare. L’ascesa non è difficoltosa, la terra è scura, la vegetazione tropicale si dirada man mano che saliamo. Siamo accompagnati da una guida locale che, una volta avvicinata la cima, ci indica i luoghi più sicuri da dove poter ammirare la lava incandescente che fuoriesce dal vulcano…se ne può sentire persino il rumore! Che spettacolo incredibile! Camminare sulla lava è simile a calpestare montagne di biscotti croccanti! Ad un certo punto la guida estrae da un sacchetto dei marshmallow e ci invita a scottarli, utilizzando dei bastoncini, in una cavità scavata nella lava, dove il calore del vulcano li avrebbe fatti imbrunire in “30 secundos”! <Turistate> a parte, l’atmosfera silenziosa del vulcano mi fa nuovamente riflettere su quanta bellezza ed imponenza possieda la natura. Questo luogo è incredibile.
La sera raggiungiamo Coban, una cittadina immersa nella giungla, dopo un difficoltoso percorso in pullman per strade sterrate, circondate soltanto da vegetazione. Nel piccolo centro di Coban è allestito un luna park. Non siamo abbastanza coraggiosi da tentare la sorte sulla ruota panoramica, ma giocare a calcio balilla con i bambini locali si rivela un’esperienza divertentissima! Non parliamo bene lo spagnolo, ma non è difficile capirsi e le risate si sprecano.

Il mattino dopo ci caricano tutti in piedi sul retro di camionette fuoristrada (qui i trasporti funzionano così) e ci portano nel cuore della giungla, a Semuc Champey, lungo un impetuoso fiume. Deve esserci una qualche festività locale in corso a Copan, nella piccola piazza antistante la chiesa è pieno di gente che suona e balla, travestita in maniera bizzarra e colorata. Ci dicono che andranno avanti per tutto il giorno, si tratta di un altro rito Maya.
La nostra giornata a Semuc Champey prevede un programma adrenalinico: visita alle grotte naturali a lume di candela, tuffo nel fiume con le liane, bagno nelle rapide (con tanto di ragazzini che, appena ci vedono, si tuffano in acqua per venderci delle birre gelate), trekking nella giungla con vista dall’alto delle piscine naturali e bagno finale in queste ultime. Davvero un’esperienza indimenticabile.
Il nostro viaggio itinerante procede il giorno seguente, in pullman, lungo le serpeggianti strade guatemalteche, un susseguirsi di salite e discese, con gli autobus di linea che ci sfrecciano a fianco, lanciati a tutta velocità. Sono vecchi scuolabus americani che i guatemaltechi modificano, ridipingendoli di colori sgargianti e aggiungendo luci colorate; il motore, però, immagino non venga rimodernato, vista la scia di fumo nero che lasciano alle loro spalle…
Arriviamo fino in Honduras: dopo otto ore di viaggio e le formalità doganali (ho collezionato una serie di timbri sul passaporto durante questa vacanza!) raggiungiamo la splendida Copan Ruinas, fatta di vie acciottolate e con un piccolo centro storico, ricco di ristorantini e negozietti. Ci intrufoliamo persino in una lezione di zumba in corso, dimostrando la scarsa mobilità del nostro bacino, rispetto alle donne locali!
Il giorno successivo visitiamo Copan, il primo sito Maya della vacanza. Entusiasmante! Nel mezzo della giungla sorgono queste imponenti costruzioni in pietra, con altissime scalinate, dove si svolgeva la vita nel 700 dopo Cristo…non mi capacito di quanto tempo sia trascorso! Pappagalli variopinti, che siamo abituati a vedere soltanto negli zoo, vivono qui liberi e indisturbati. La guida ci racconta di strane usanze dei Maya, ritratti in numerose stele in pietra, molto decorate; innanzi tutto, erano bruttissimi, almeno per i nostri standard: alteravano la forma del loro cranio e si rendevano strabici apposta. Per loro era come per noi affidarsi alla chirurgia plastica per migliorare la forma del nostro naso se prominente! Inoltre, usavano giocare con la palla in questa sorta di arena fatta in pietra, dove dovevano farla rimbalzare, utilizzando il proprio corpo per colpirla. Il campione che vinceva la partita veniva poi sacrificato sulla pubblica piazza…mah! Meglio essere giocatori mediocri forse…
Dopo altipiani, laghi e vulcani, non poteva mancare una tappa sul fiume! Tornati in Guatemala, raggiungiamo il Rio Dulce, un lungo fiume che sfocia nel Mar dei Caraibi. Il nostro alloggio è su delle palafitte in mezzo alla giungla. Davvero un’esperienza unica, nonostante qualche blatta e l’acqua corrente non proprio profumata. La giornata successiva prevede un’escursione su piccole barche (lanchas) lungo il fiume, fino ad arrivare a Livingston. Una imponente giungla costeggia il nostro percorso, allietato dalla vista di innumerevoli specie di uccelli acquatici e distese di ninfee con fiori colorati. Dopo un tuffo nelle cascate, una partita di beach volley a Playa Blanca e aver pucciato il dito nelle calde acque naturali lungo il fiume (il colore non invitava ulteriori immersioni), la giornata volge al termine.
Ormai l’avventura guatemalteca sta per finire e lo fa in grande stile: ultima tappa Tikal: un enorme sito Maya immerso nella giungla più rigogliosa. Le costruzioni sono imponenti, incredibili; scalinate di legno permettono di raggiungerne la sommità (purtroppo i gradoni non sono praticabili), consentendo di godere dell’immensità della giungla circostante, da cui affiorano le costruzioni in pietra, un tempo parte della vita della popolazione locale. Il silenzio è totale, tanto che è possibile quasi distinguere il battito d’ali dei tucani e dei pappagallini verdi che volteggiano tra gli alberi. Colonie di scimmie popolano gli alberi più alti, su cui si arrampicano leggere e indisturbate. Alloggiamo in un lodge all’interno del sito, un luogo unico e davvero stupendo. Sembra il posto ideale per una luna di miele: bungalow tra aiuole di piante tropicali, piscina e ristorante con pavimento in legno, tende di lino che svolazzano pigramente sospinte dalle pale che muovono l’umida aria della giungla. I generatori vengono spenti alle dieci di sera, la torcia frontale è essenziale se si vuole continuare la partita di biliardo iniziata dopo cena! I suoni della giungla, tra i quali distinguo quello delle scimmie urlatrici, simile al latrare dei cani, rendono quasi difficile prendere sonno sotto la bianca zanzariera del mio letto. Le fatiche dei giorni precedenti hanno però la meglio e cado in un sonno profondo, pensando ancora al tramonto nella giungla, al volo dei tucani e alle ranocchie dorate che ho visto appiccicate sulla parete esterna del bungalow poco prima.
A malincuore lasciamo il Guatemala, ma il viaggio ancora non è finito: chiudiamo in bellezza con tre giorni in Belize! Paese completamente diverso, che inizialmente un po’ rimpiangiamo: ci mancano molto l’atteggiamento e l’ospitalità della popolazione; qui ci fanno sentire più turisti da spennare…
La località dove alloggiamo, Caye Caulker, è molto turistica: un susseguirsi di ristoranti, locali notturni e case vacanze, alternati da rivendite di alimentari e simili, queste ultime gestite da cinesi. Il motto locale è: “Go slow, but keep moving”. Le strade sono di sabbia, l’isola è poco estesa, si può girare in poco tempo, a piedi o a bordo di caddy, come quelli dei campi da golf.
Il nostro locale preferito diventa lo Split, bungalow di legno con lettini sul cemento che si affacciano sul mare caraibico. La musica è alta tutto il giorno, si può giocare a beach volley ed ammirare tramonti mozzafiato, sorseggiando rum punch. Un po’ un parco divertimenti.
Il mare non è granché a Caye Caulker, ma frequenti traghetti, gestiti da ragazzi di colore con fare da rapper americani, la collegano alle isole vicine, come l’isla bonita di Madonna (San Pedro), dove mare trasparente e caldo e sabbia bianca, oltre a baretti su palafitte sul mare e tavolini dentro l’acqua, sono un perfetto scenario da cartolina.
A mio avviso, però, il pezzo forte in Belize sono la barriera corallina e, soprattutto, il famigerato Blue Hole. Ho potuto vedere pesci colorati di ogni tipo, nuotare con le tartarughe, fare snorkelling tra coralli di colori impensati, vedere mante, razze, squali e persino un raro lamantino!
L’escursione in barca al Blue Hole vale davvero il viaggio. A chilometri di distanza dalla costa, che nemmeno si scorge in lontananza, un enorme cratere sommerso nasconde una miriade di pesci colorati, squali, coralli di ogni genere e colore. Meravigliosa anche Half Moon Caye, un lembo di sabbia in mezzo al mare caraibico, dove gli unici suoni che si possono udire sono il frusciare delle palme, le onde del mare e le noci di cocco che ogni tanto cadono al suolo. Sull’isola non c’è altro. L’acqua è talmente trasparente che da riva siamo riusciti a fotografare un barracuda che nuotava indisturbato!
Anche le giornate in Belize sono volate ed il viaggio si conclude, dopo un lungo rientro, via acqua, terra e aria.
È stata un’esperienza unica, completa, forte, stupefacente, vissuta al massimo, inaspettata, un continuo stupirsi e ed essere appagati dalle esperienze e dai luoghi visitati. Un viaggio che ricorderò sicuramente a lungo, con lo stesso entusiasmo con cui l’ho vissuto”.