La chiamavano Cattedrale e di una cattedrale aveva tutta l’imponenza e l’importanza anche se di un magazzino di reti si trattava. Centinaia e centinaia di metri di reti collocate con cura attraverso un sistema di soppalchi e rialzi da terra perché l’umidità dei mesi invernali non ne rovinasse l’intreccio e la particolare fattura. In primavera si inaugurava una nuova stagione di pesca e decine di tonnaroti, guidati dal rais, ridavano vita a quelli reti, trasformando un ammasso di materia all’apparenza informe in una struttura complessa, articolata, la vera e propria tonnara. Calate in acqua quelle reti sarebbero diventate l’Isola, le maglie pareti di “stanze”, la Ponente, la Grande, la Levante collegate da “porte” attraverso cui il tonno entrava e si trovava costretto a passare di camera in camera sino a quella finale, la Stanza della Morte.
La tonnara di Scopello. Un racconto antico
La Cattedrale c’è ancora alla tonnara di Scopello. L’antica tonnara siciliana, in provincia di Trapani, ormai in disuso e oggi complesso monumentale, resta come sospesa nel tempo, stretta e sorvegliata dai suoi guardiani, i due faraglioni.
Per accedere all’area è necessario pagare un biglietto di 5 euro e per visitarne il nucleo principale occorre presentarsi agli orari prestabiliti e seguire in piccoli gruppi la visita guidata. L’alternativa è prenotare una delle stanze disponibili dove un tempo viveva l’amministratore, soggiornava il rais e dormivano i tonnaroti. Non è consentito fare foto. In questo luogo dal fascino antico, per fissarne il ricordo, occorrerà affidarsi al profumo di mare e di piante mediterranee che crescono attorno, ai colori della pietra color miele e a quelli vivaci delle maioliche sbeccate accanto un vecchio lavatoio o nella cornice di una porta, al miagolio di un micio che passa indomito tra le gambe dei visitatori.
E a Scopello, da una rete del magazzino delle reti pende da chissà quanto l’immagine di un santo, Sant’Antonio da Padova. Perché da una buona pesca dipendeva la serenità dei mesi a venire di pescatori, mastri d’ascia, calafati, operai, viddani, retaioli, maestri cordai, carpentieri. E al santo ci si affidava.
E nella tonnara di Scopello sembra di vederli all’opera nel grande piazzale e seguire, con la stessa fiducia riposta nel santo, gli ordini del rais: a lui stava il corretto posizionamento in mare della tonnara di corsa, l’esatto bilanciamento tra reti e ancore, l’attenta interpretazione di pesi e cordicelle che vibravano al passaggio del tonno. Bastava un errore perché il pesce trovasse un varco e la pesca andasse in fumo.
C’era chi si occupava delle reti più sottili, quelle in fibre di cocco e canapa a cui in acqua si attaccano i molluschi mimetizzandole e rendendole invisibili ai tonni; e chi invece lavorava quelle a maglia fitta per la camera della morte in fibre di palma nana o di forasacchi, un’erba infestante, rese ancora più resistenti dalla resina rilasciata da acqua e corteccia di vite in cui venivano immerse. Le reti dovevano sopportare il peso degli animali ammassati e pronti ad essere tirati su dalle barche e arpionati col crocco. Era il momento più duro della pesca, la mattanza. Quello in cui l’animale moriva dimenandosi e tingendo l’acqua del mare col suo sangue. Quello in cui il pescatore sapeva di non poter fallire.
Le cialome erano i canti di quest’ultimi: servivano a dare il tempo, servivano a propiziare la pesca, servivano a scandire la lotta tra uomo e animale.
Accanto al magazzino delle reti c’erano i locali dove bottarga e lattume venivano lavorati, i differenti depositi, gli alloggi, le rimesse delle barche – muciare, bastarde e parascalmi . Alla tonnara di Scopello ogni area è stata aggiunta o migliorata nel corso dei secoli e con i differenti proprietari. Dalle origini che risalgono al XIII secolo e al periodo in cui la famiglia San Clemente ne fu padrone sino all’epoca in cui i Florio ne assunsero la proprietà dopo l’Unità d’Italia e l’esproprio ai Gesuiti. La chiesetta all’interno della struttura è opera di quest’ultimi comparsi nella gestione della tonnara nel 1600.
Oggi la pesca del tonno viene per lo più effettuata con le tonnare volanti al largo e a sostituire riti e tradizioni centenarie per attirare il pesce ci sono radar ed ecoscandagli. L’inquinamento sembra poi aver contribuito drasticamente al depauperamento della fauna rendendo le tonnare di corsa poco redditizie e “superate”.
Anche la tonnara di Favignana, una delle più grandi del Mediterraneo, ha subito la stessa sorte ma, a partire da quest’anno, attraverso il decreto sulla Campagna di pesca del tonno rosso 2019, il Mipaaft, Ministero delle Politiche Agricole Alimentari, Forestali e del Turismo, ha assegnato a Favignana una quota e dopo 12 anni, la tonnara è tornata attiva. Oggi, dopo una nuova distribuzione delle quote tonno, l’apertura resta in bilico in attesa di ulteriori sviluppi.
Alcuni consigli
La tonnara di Scopello è raggiungibile percorrendo la A29 Palermo Mazara del Vallo, uscita Castellammare del Golfo, sita in una zona di indicibile bellezza. Vicine ci sono Cala Bianca, Cala Mazzo di Sciacca, la Riserva dello Zingaro. A pochi minuti il piccolo centro di Scopello con il suo baglio.
Dalla A29 sono circa quindici i chilometri di strada statale da percorrere e l’ingresso della tonnara si trova lungo una strada secondaria dove è possibile parcheggiare esclusivamente in un’area parcheggio preposta. Se potete, non visitate la tonnara in alta stagione. Ciò che vale per qualsiasi destinazione qui è più che mai utile per godere di questi luoghi.
Questo racconto di un lavoro faticoso e duro, ahimè anche cruento, ha il sapore della poesia. Si immaginano i profumi della macchia mediterranea, le mani ed i volti segnati da salsedine e sole di chi si occupava delle reti e si sentono anche i canti. Come sempre Benedetta mi fai volare con l’immaginazione!
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Tradizione antica che chi come noi ama il sud e il mare può comprendere. Mi ha ammaliata e conquistata con la speranza di visitare presto Favignana e seguire la rotta dei tonni. Grazie Simo, di cuore. Le tue parole mi fanno felice.
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Quello scorcio a Scopello lo abbiamo ancora ben scolpito nella memoria: la tonnara e quell’azzurro che turba l’anima, perché ti dice “resta qui, non c’è posto migliore”.
A Scopello poi abbiamo mangiato il pane cunzato che è rimasto nella (nostra) storia come la cosa più buona mai assaggiata in Sicilia…e in Sicilia non si mangia male, no? 😉
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Ragazzi, quel blu ti rimane dentro…
Il pane cunzato va invece via che è un piacere!!!
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