Santa Caterina d’Alessandria a Palermo. Chiesa e monastero svelano segreti vecchi di sette secoli

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Palermo, Chiesa di Santa Caterina d'Alessandria
Palermo, Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria

Nascere donna e nobile a Palermo nei secoli scorsi non era sempre un buon affare.

A partire dal sedicesimo secolo e sino all’Unità d’Italia, il diritto e la consuetudine garantivano l’eredità di famiglia solo al primogenito maschio. Alle donne restava il matrimonio, solitamente combinato e dalla costosa dote, o la vita monacale.

Il capoluogo siciliano arrivò ad avere più di settanta conventi, per lo più simbolo e sintesi di un’aristocrazia forte e radicata. Tra i più opulenti e ricchi, quello di Santa Caterina d’Alessandria, nato nel 1300 e adiacente all’omonima chiesa. Dopo sette secoli, appena pochi anni fa e dopo un attento restauro, il complesso monumentale ha finalmente aperto le sue porte al visitatore.

Dove siamo? L’ombelico di Palermo

Palermo, Chiesa di Santa Caterina d'Alessandria
L’ingresso principale su Piazza Bellini, davanti la Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio e la Chiesa di San Cataldo
Una vera e propria cittadella. Un intero isolato che nei secoli è cresciuto e si è ampliato sbandierando al mondo fuori le sue mura quanto ricche fossero le famiglie le cui figlie ne occupavano il convento domenicano.
Ed era proprio il mondo a passarci attorno: da un lato, l’attuale corso Vittorio Emanuele II, il Cassaro, la strada più antica di Palermo, lungo cui va in scena da sempre la processione più attesa, in onore della Santuzza, Santa Rosalia, con il suo Carro Trionfale; dall’altro piazza Pretoria, con il Palazzo delle Aquile, sede del Comune e la Fontana Pretoria, meglio nota come <della vergogna>. A far arrossire i palermitani fu la vergogna per la nudità delle sue statue  o la somma esorbitante che costò alla città?
Infine piazza Bellini, proprio davanti l’ingresso odierno, dove, una accanto l’altra, separate da un piccolo giardino, sorgono la chiesa di San Cataldo con le sue tre cupole rosse e la chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, o <Martorana>. Tra le sue mura nasce la leggenda della deliziosa e tutta siciliana Frutta Martorana.

Ricchezza e opulenza. La chiesa di Santa Caterina d’Alessandria

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Una grande emozione. È ciò che si prova entrando nella chiesa di Santa Caterina d’Alessandria a Palermo. Una vertigine, quasi, al cospetto di tanta magnificenza. Ori e stucchi, affreschi e architetture barocche, un tripudio di colonne, cappelle e matronei, da cui le monache, non viste, assistevano alle funzioni.
I marmi sono i più rari e sapientemente lavorati ad intarsio con pietre dure, i marmi mischi, come quelli utilizzati per uno degli altorilievi laterali più belli, l’altorilievo raffigurante l’episodio dell’Antico Testamento di Giona e la balena. Le figure sembrano vive e in movimento: la balena insegue Giona, apparendo tra i flutti, un galeone del 600 sta sullo sfondo, sembra quasi di poterne vedere le venature in legno dello scafo. Non è legno, si tratta di un marmo ormai esaurito e introvabile, il chiocciolino.
Palermo, Chiesa di Santa Caterina d'Alessandria
Giona e la Balena. Marmi ormai esauriti, unici e introvabili
All’interno della chiesa, una delle ruote presenti nel complesso. Non serviva ad abbandonare in convento bimbi sfortunati, ma per il passaggio di paramenti sacri. Infine il Comunichino, vicino l’altare maggiore, attraverso cui le monache prendevano l’eucarestia.
La chiesa di Santa Caterina d’Alessandria era il palco su cui andava in scena l’ultimo atto della vita delle nobili donne destinate alla vita di clausura. Coperte da un drappo nero su cui  veniva sistemato un teschio, venivano loro tagliati i capelli, legati in lunghe trecce (ancora in parte conservate). Le monache-principesse lasciavano quindi la chiesa per entrare nel convento adiacente. Iniziava per loro una nuova vita.
Palermo, Chiesa di Santa Caterina d'Alessandria
Marmi mischi. Preziosi intarsi con pietre dure

Una vita parallela. Il convento di Santa Caterina d’Alessandria

È il silenzio a colpirti entrando oggi nei locali dell’antico convento trecentesco. Non puoi fare a meno di pensare che per secoli l’accesso ne era interdetto. Salvo casi rari – il re, il vescovo, un medico – nessuno poteva transitare lì dove ora tu cammini, sosti, cammiri, osservi.
Sembra quasi di vederle le circa 400 monache che ne vivevano gli spazi. Spazi ricchi, confortevoli, caratterizzati da fini maioliche, pregiate suppellettili, mobili e ornamenti, ma pur sempre destinati a monache di clausura.
Il Convento di Santa Caterina d'Alessandria
Le celle delle monache principesse affacciate sul chiostro
Ne si può percorrere i letterini, corridoi, passaggi lungo la parte alta della chiesa, attraverso cui le monache assistevano alle funzioni celate da elaborate grate. In bella mostra Bambin Gesù e bambole riccamente decorate, che ancora una volta raccontano la ricchezza delle famiglie a cui le monache appartenevano.
Monache lo diventavano a 21 anni ma spesso in convento entravano prima, come educande portando al seguito le preziose bambole.
Una volta dentro, esisteva una rigida gerarchia: le monache più ricche erano quelle che occupavano le celle “extralusso” affacciate sul chiostro, luogo di pace e bellezza.
La visita continua poi nelle altre celle, nel refettorio, sino a raggiungere il sottotetto. Da qui inizia un altro viaggio.
Il Convento di Santa Caterina d'Alessandria
Sette secoli di storia dietro queste grate

Palermo dai tetti del convento di Santa Caterina

Cercate di restarci quanto più possibile e di goderne ogni prospettiva.
Perché la visita sui tetti del convento di Santa Caterina prevede due accessi, separati dall’altrettanto interessante sottotetto ed entrambi percorribili.
Ciascuno dona un affaccio diverso sulla città, dalla montagna che la cinge alla Cala, il porto, da cui arrivarono i primi Florio. La Palermo degli Arabi, quella dei Normanni, Svevi, Aragonesi e Borboni sarà lì pronta ad essere ammirata.

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E sarà come rivivere la Palermo di Federico II, quella dei moti del 1820, la Rivoluzione del 1848, la Rivolta della Gancia, i bombardamenti de 43. Testimone silenzioso della grande Storia, il convento di Santa Caterina vi accompagnerà in un viaggio senza fine.
Il Convento di Santa Caterina d'Alessandria
Sua Maestà Palermo, dai tetti del convento

Finiamo in dolcezza. I Segreti del Chiostro. Frutta Martorana, Minni i Virgini e Trionfo della Gola

Ce la invidia il mondo. La pasticceria siciliana è tra le più golose, sontuose e colorate in Italia. Tra i dolci più rinomati e difficili da reperire ci sono quelli legati alla tradizione dei monasteri di clausura dove per secoli le monache hanno creato leccornie le cui ricette hanno gelosamente custodito tanto da diventare leggenda.
Pensate ad esempio al Trionfo della Gola, sapientemente descritto da Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo: una torta barocca a base di pasta reale, pan di spagna, marmellata e crema pasticcera ricoperta da virtuosismi di pistacchi, frutta candita e glassa di zucchero.
I segreti del Chiostro di Santa Caterina d'Alessandria
I Minni i Virgini
Solo in rari casi le ricette di queste prelibatezze sono arrivate a noi. Ad Agrigento, ad esempio, è ancora possibile comprare i dolci delle monache del Monastero di Santo Spirito; più difficile riuscirci a Palma di Montechiaro nel Monastero del SS.Rosario delle Benedettine; le bontà ericine rivivono nel laboratorio di Maria Grammatico, artigiana e donna caparbia, che visse la sua infanzia nel Convento di San Carlo di Erice. Nelle lunghe ore spese accanto il grande tavolo di marmo della cucina imparò e carpì i segreti di un così grande patrimonio culturale e gastronomico.
A Palermo, la tradizione torna e rivive grazie a I Segreti del Chiostro, l’associazione che gestisce l’antico laboratorio di Santa Caterina, aperto a chiunque voglia gustare Biancomangiare, cassate e genovesi, Martorana, Buccellati, Minni i Virgini e Fedde del Cancelliere, le conchiglie di pasta di mandorle con un ripieno di crema di latte e confettura di albicocche.
E poi granite, cassate e cannoli e la Maria Stuarda, crostatina di frolla con la zuccata ispirata alla Queen Mary’s tart e ai gusti di mercanti inglesi come Woodhouse e Withaker che fecero della Sicilia un polo commerciale. Ci sono ancora i vecchi strumenti, gli stampi per l’agnello di zucchero, le antiche credenze.
Si sceglie ciò che si preferisce, scelta difficile, e si raggiunge il chiostro, circondati da roseti, melograni, alberi di agrumi. Esiste un modo migliore di concludere questo viaggio?
I segreti del Chiostro di Santa Caterina d'Alessandria
Finiamo in dolcezza?

4 commenti Aggiungi il tuo

  1. Massi Tosto ha detto:

    A quelle tre cupole rosse sono molto affezionato, mi ricordano mio nonno e ogni volta che torno a Palermo ci passo anche solo per vederle da fuori

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    1. dettabroad ha detto:

      Un bel ricordo. Grazie per averlo condiviso qui🙏

      Piace a 1 persona

  2. Poverine, vivevano in una gabbia dorata, ma pur sempre una gabbia. Con l’aggravante di trovarsi praticamente nell’ombelico di Palermo, come dici tu. Però è un posto incredibile, sia dentro sia fuori sia sopra! La vista sulla città sembra regalare davvero la stratigrafia dei secoli, se vengo a Palermo non me lo perdo per nulla al mondo! Non conoscevo quel marmo, guarda che roba sembrano davvero venature di legno. Sui dolci siete insuperabili, anche i nomi con cui battezzate i dolci sono azzeccati e troppo sfiziosi! Uno splendido regalo questo articolo, buona festività! 🙂

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    1. dettabroad ha detto:

      Grazie a te Orsa. Se vieni ci torniamo insieme 👍❤

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