Ho il privilegio di vivere sul mare e la spiaggia è il mio territorio di scoperta. Mi piace andare alla ricerca delle poche conchiglie rimaste, dello scheletro di un riccio, di pietruzze colorate. Legnetti che l’acqua e il vento hanno levigato e trasformato. Cose semplici.

Assai più raro da trovare è ciò che resta delle foglie di fico d’india, frammenti di “pale” che il mare ti riconsegna. Lo scheletro delle foglie verdi e succose che crescono ovunque in Sicilia. Le cactacee che fanno da cornice ai paesaggi siciliani, cariche di fiori gialli. Poi arrivano i frutti, i fichi d’India, zuccherini e freschi, coi semini duri che senti tra la lingua e il palato.

Mi piacciono i fichi d’india. Le piante che raccontano la mia terra non le estirpi mai, testarde e cocciute, stanno lì e resistono. Me ne piace la resilienza. Anche quando la vita ne abbandona ogni singola parte, la foglia di fico d’india a poco a poco si asciuga, perde le spine, cambia colore, diventa sempre più aerea eppure solida, dalla trama legnosa, forte. Lavorata dal tempo cambia vita e sostanza e diventa quasi un merletto, una tela traforata. Quei merletti che trovo in spiaggia, nascosti tra alghe secche e pezzi di plastica.

Conosco una persona che riesce a trasformarli ancora una volta. Dalle sue mani ho visto nascere impalpabili coralli di terra, lumi che sanno di mare, di vento, di sale. Mi piace stare a guardarlo mentre, frammento dopo frammento, un porta candela che accenderò d’estate prende forma col suo lavoro lento, paziente. Occorre decidere come legare le parti e farlo senza fretta, aspettando che si assestino.

Piano piano. Come fa la natura con le foglie morte del fico d’India.

La mia Sicilia

La mia Sicilia

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