“Giusi, sei a Monaco?”. Inizia così uno scambio di battute su FB che avrebbe più voluto essere un saluto affettuoso e al massimo una richiesta di informazioni. Perché io a Monaco non ci sono mai stata e ci vorrei proprio andare.
E quando ho chiesto a Giusi Arimatea, giornalista, insegnante, scrittrice e tanto altro, di dirmi cosa ne pensava, di certo non avrei mai sperato in un suo racconto. Un racconto che mi ha emozionata e che Giusi mi ha mandato su Messenger, in modo semplice, spontaneo, generoso. E io me lo sono goduto, parola per parola. Perché un luogo lo senti con gli occhi, con la pelle, con il naso…ma non è semplice far arrivare agli altri come solletica il tuo animo. E non c’è guida che tenga…
Io viaggio da sola. E questa è la premessa, alla quale seguono le motivazioni. Viaggio di fatto per ritrovarmi, per perdermi, per confondermi. Viaggio perché la vita mi ha insegnato che un domani non è detto che vi sia e io in quest’oggi di cui posso disporre voglio fare il pieno di vita, di gente, di arte, di bellezza.
Stavolta ho scelto Monaco di Baviera. Conosco bene la Germania, ma a Monaco vi ero passata di sfuggita tempo fa e volevo a tutti i costi tornarvi.
La Baviera è metà Germania e metà resto d’Europa. A Monaco trovi un po’ di Berlino negli anfratti di una periferia in divenire e molta Mitteleuropa in pieno centro.
C’è una piazza, Marienplatz, che potrebbe essere ovunque. E che pure è lì. In quella città che, con i meccanismi del suo campanile, mi ha riportato al duomo di Messina e con i suoi orologi a quella Praga di cui Monaco non possiede il chiaroscuro. Ché Monaco è viva. È perennemente in festa.
Qui i tedeschi sono tedeschi a metà. Della Germania hanno la compostezza e dell’Europa meridionale l’affabilità.
Cammino per le strade con l’intento di perdermi, lo ammetto. Se invece mi prefiggo una meta allora tiro fuori la mia cartina. Ecco, con una cartina in mano e con la reflex al collo a Monaco ti si avvicina sempre qualcuno per offrirti un aiuto, per darti un’informazione senza che tu gliel’abbia chiesta.
Ho camminato a lungo, ma ho pure usufruito della metropolitana. A me la metro piace. E lì osservo meglio che altrove la gente. C’è chi in un tragitto che dura pochi minuti riesce a leggere qualche pagina di un libro e chi, nel medesimo tempo, accende il computer e vi scrive qualcosa.
Ho sempre pensato che senza metro una città depredi di qualcosa i suoi abitanti.
Sulla metro io sono arrivata in centro, da quell’aeroporto immenso che è un meccanismo perfetto e nel quale puoi realmente trascorrere ore senza annoiarti.
A Monaco ho trovato un po’ di tutte le città in cui sono stata. Eppure, nella policromia delle forme, lì vi regna l’armonia.
Ovunque abbia messo piede nessuna fila ho dovuto fare. Perché a Monaco d’estate il turismo non è da sottovalutare, ma nulla pregiudica il regolare andamento della vita. Che è moderato, con un tocco di brio se vogliamo.
V’è arte nelle architetture dei palazzi del centro. E v’è arte nei musei che dal centro distano pochi passi. Vi sono caffè sparsi ovunque, dove davvero respiri la Mitteleuropa di un tempo.
Le nazioni che abitano Monaco si mescolano. In qualunque angolo, a guardare i passi, le andature, le scarpe non potresti mai indovinare la città in cui ti trovi. Men che meno a guardare i volti.
Qualche quartiere è prettamente arabo e lì l’odore speziato che sfugge alla ristorazione ti riporta all’Oriente. Giri l’angolo e sei nuovamente in Germania, a respirare würstel e malto.
Leggevo da qualche parte che Monaco è una città tranquilla. A quella tranquillità che gli riconosco io aggiungerei la policromia a renderla fiera, sicura di sé.
Ché nella diversità, nell’accoglienza, nella convivenza, culturalmente si cresce. E si splende.
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