Favignana. Terra d’incanto in Sicilia

Un mare tra i più puliti del Mediterraneo dove, pare, sia tornata la foca monaca. Fondali ricoperti da praterie di posidonie dove prosperano coralli, ricci e gorgonie. Baie e scogliere che si susseguono una dopo l’altra lungo tutto il perimetro dell’isola. Acque cristalline che virano dal turchese al verde smeraldo.

Ѐ Favignana, antica Aegusa, oggi Area Marina Protetta, istituita con Decreto Ministeriale del 27 dicembre 1991, insieme alle altre isole delle Egadi, Levanzo e Marettimo.

Risuona dei canti dei pescatori Favignana, le cialome, che rais e tonnaroti intonavano durante la pesca del tonno rosso. Lo stesso canto che sembra ancora di poter ascoltare dentro le enormi sale dell’Ex Stabilimento Florio, dove il pesce veniva lavorato, oggi museo interattivo e custode della storia e delle tradizioni dell’isola.

Risuona dello scalpellio sulla pietra Favignana, la calcarenite, una sorta di tufo bianco e compatto, che un tempo i <pirriatura>, i tagliapietre, estraevano con pochi attrezzi dal ventre di Favignana creando e regalando a questa terra  una nuova geografia del territorio.

Lo senti il profumo del mare?
Lo senti il profumo del mare?

Sulla rotta del tonno

Dalla notte dei tempi, seguendo la corrente Atlantica, quasi spinti da un forza ancestrale, i banchi di tonni raggiungono il Mediterraneo per riprodursi. Come se scivolassero lungo un nastro trasportatore, i pesci nuotano sino a raggiungere le coste siciliane. Il tonno, da tempo immemore legato alla sopravvivenza dell’uomo, appare già in epoca neolitica sulle pareti della Grotta del Genovese di Levanzo; a Cefalù, presso il Museo Mandralisca, fa bella mostra sul Cratere del Venditore di Tonno, un antico manufatto del  IV secolo a.C.

Egadi. Mille sfumature di blu
Egadi. Mille sfumature di blu

La pesca del tonno è un rito dalla storia antica. <Calare tonnara> significa ricreare, ad ogni stagione, tra maggio e giugno, una vera e propria architettura subacquea, un castello sommerso composto da camere, corridoi e ponti levatoi: pareti di reti al momento opportuno, stabilito dal rais, vengono sollevate affinché il tonno transiti di stanza in stanza sino all’ultima, quella <della morte>, un grande <coppo> in cui avviene il rito della mattanza.

In passato la mattanza era solo l’inizio di un altro viaggio, quello in tonnara, dove il pesce veniva lavorato e da cui dipendeva la sussistenza di un’intera comunità impegnata, già dai mesi precedenti, alla preparazione delle reti, alla manutenzione delle barche, sino all’inscatolamento del tonno e alla spedizione.

Ma il tonno è da sempre in scatoletta?

Certo che no e a mettere il tonno in comode scatolette con apertura a chiave ci pensò Ignazio Florio; a metterlo sott’olio e a inventare un argano che potesse sollevare le reti zuppe d’acqua durante la pesca fu Vincenzo Florio, il padre. La Tonnara di Favignana e quella di Formica furono prese in affitto dalla storica famiglia siciliana già nel 1841, nel 1874 acquistate dai Pallavicini. Ne nacque uno stabilimento immenso sulla cui porta d’ingresso c’è ancor oggi il Leo Bibens dei Florio e che, sino al 2007, anno dell’ultima pesca, poteva essere considerato una realtà economica alla stregua della FIAT.

Il mare di casa a Favignana, Area Marina Protetta
Il mare di casa a Favignana, Area Marina Protetta

Il soprannome di “Torino” fu ideato da chi ci lavorava e ne era orgoglioso e non è un caso che una delle sale più belle dell’odierno museo si chiami Torino e accolga il progetto installazione di Renato Alongi: storie di pesca e racconti di vita, in un ambiente che ancora sa e odora di sale e di fatica, per bocca dei protagonisti, ologrammi parlanti di pescatori e rais, molti dei quali oggi non più in vita e la cui memoria, preziosa dote di cultura e tradizione, viene tramandata al visitatore.

L’Ex Stabilimento Florio. Non chiamatelo fabbrica

  • Te lo ricordi, Gabriele, quando la tonnara era ancora attiva?

La vedi la spiaggia tra lo Stabilimento Florio e la Camparia, l’edificio dove si sistemavano le reti, si preparava la pesca, dove c’era lavoro per <campare>, vivere? Non c’è ricordo di bambino che non abbia come sfondo quei luoghi. Alla sera, la sirena che segnava la fine dell’orario di lavoro in tonnara si confondeva alle grida di mia nonna che voleva che tornassi a casa.

A parlare è Gabriele Bannino, caro amico, che a Favignana ci è cresciuto e che, con mia grande fortuna, mi ha fatto il regalo grande di raccontarmi la sua isola e di farmela conoscere attraverso i suoi occhi. Con lui percorro parte del percorso che porta su, in cima, sino alla rovine del castello sul Monte Santa Caterina. La vista è stupenda, in fondo la Riserva Orientata della Laguna dello Stagnone, da un lato Marsala dall’altro Trapani tra cui corre la Via del Sale.

Giuseppe Giangrasso, Zio Peppe
Giuseppe Giangrasso, Zio Peppe, custode dell’Ex Stabilimento Florio

E lì, appena dietro lo Stabilimento ci ho incontrato la prima fidanzatina. Ci si dava appuntamento all’<Arrè Turinu>, dietro Torino, come chiamarlo altrimenti – continua Gabriele.

La tonnara era vita, comunità, in nessun modo paragonabile al concetto di fabbrica odierna. Di padre in figlio si lavorava lì ed era motivo di orgoglio. Sai che le donne potevano portare con sé i bambini e lasciarli in un asilo apposito? La tonnara aveva un’anima e chi ci lavorava grande rispetto per la pesca e per il tonno. La si salutava la tonnara: “buongiorno tonnara” e la pesca era una pesca sostenibile nonostante la mattanza sia sempre stato uno spettacolo forte, cruento. Solo gli esemplari più grandi restavano intrappolati, i più piccoli, quelli che oggi non è consentito pescare, lasciati andare. All’interno dello stabilimento, facci caso, ci sono alcune targhe che ricordano le annate più pescose, si parla di 4.000, 6.000, 10.000 esemplari alcuni dei quali del peso di 500, 600 chili.

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La tonnara ho il privilegio di visitarla con Giuseppe Giangrasso, Zio Peppe, tutta una vita impegnato in tonnara, oggi custode del museo. C’è anche lui tra i protagonisti selezionati da Renato Alongi per la sala Torino. Con lui attraverso il viale all’ingresso di alberi secolari, le ciminiere collegate alle caldaie usate per cucinare il tonno, il <Bosco>, dove i tonni appesi prima della lavorazione erano così grossi da sembrare tronchi d’albero, la sala dove è ancora possibile vedere le latte di colore diverso a secondo del contenuto: ventresca, tarantello, buzzonaglia, tutte le parti del tonno. Perché del tonno, come del maiale, non si butta via nulla.

Infine la Trizzana a quattro porte con le grandi cancellate sul mare al cui interno ci sono le enormi barche usate per la pesca finale, quella che vedeva protagonista il rais sulla sua muciara, capitano e sciamano dal giudizio insindacabile.

Favignana. Sale sulla pelle
Favignana. Sale sulla pelle

Quanto raccontato, e molto di più, può essere ascoltato e scoperto seguendo l’audio guida di IZI travel curata da Maria Guccione, anima e voce narrante di Favignana, fine conoscitrice delle tradizioni e della cucina egadina, assessore alla cultura che tanto fece perché lo Stabilimento Florio, una volta restaurato, fosse aperto al visitatore e di cui curò personalmente la visita per un lungo periodo. Raccontare Maria Guccione, che ho avuto il privilegio di conoscere grazie a Francesca Cannavò, preziosa amica e interlocutrice, richiede uno spazio a parte con un’intervista a lei interamente dedicata.

Di rostri e ancore. Favignana e la Battaglia delle Egadi

I tonni seguono lo stesso percorso da sempre, ne parlava Omero, Oppiano di Cilicia e persino Eschilo. C’erano anche ai tempi della famosa Battaglia delle Egadi nel 241 a.C. tra Romani e Cartaginesi.

A raccontare questa pagina di storia le anfore, gli elmi e i preziosi rostri rinvenuti nelle acque delle Egadi che rendono unico l’Antiquarium e la sala dove un tempo le latte erano immagazzinate, pronte per essere vendute. Pezzi unici che Sebastiano Tusa, archeologo subacqueo di fama mondiale, scrittore e paletnologo, assessore alla cultura della Regione Sicilia sino alla tragica morte durante un volo aereo, seppe trasformare in racconto.

I Florio sull’isola. Jet Set e gossip a Palazzo Florio

La si nota non appena il profilo del porto di Favignana diventa più nitido. Con il suo stile altero e i bordi merlati, la palazzina neogotica voluta dai Florio impone la sua eredità ricordando chi realmente era il dominus incontrastato di Favignana quando l’edificio fu costruito nel 1878, su progetto dell’architetto Giuseppe Damiani Almeyda. A commissionarlo fu Ignazio Florio Senior, la cui statua troneggia poco distante, in piazza Europa che nel 1874 aveva acquistato le tonnare di Favignana e Formica trasformandole in un moderno stabilimento industriale e di fatto aveva in mano l’intera economia dell’arcipelago.

Anche dopo la sua morte, nel 1891, lo stabilimento Florio continuò a crescere dotandosi negli anni Novanta di un gasometro per l’illuminazione e per la saldatura delle latte di tonno, di tre motori a gas della forza complessiva di sette cavalli e di quattro nuove caldaie a vapore per sedici cavalli.

Ignazio Florio Senior in Piazza Europa
Ignazio Florio Senior in Piazza Europa

Il momento della mattanza divenne negli anni un appuntamento imperdibile anche per personaggi illustri che raggiungevano l’isola appositamente. A Palazzo Florio, i vetri colorati Liberty e le decorazioni in ferro battuto create appositamente presso la fonderia Oretea di Palermo accoglievano ad inizio Novecento regnanti e nobili, ospiti selezionati di Donna Franca e Ignazio Junior che preferiva spesso restare a bordo del panfilo di famiglia Mary Queen.

Quando, nel 1902, in occasione della mattanza, a Favignana si presentò l’imperatrice Eugenia, vedova di Napoleone III, Palazzo Florio ospitava una piccola corte. Tra i tanti, c’erano il marchese Carlo Rudinì, figlio dell’ex presidente del consiglio Antonio e prestanome di Florio come proprietario del giornale L’Ora, il conte Romualdo Trigona e la moglie Giulia Mastrogiovanni Tasca di Cutò, dama di corte della regina, sgozzata dall’amante nel 1911  in un albergo romano,  il pittore Ettore De Maria Bergler, icona della pittura Liberty di Primo Novecento e autore degli affreschi di Villa Igiea a Palermo, Giulio Tomasi di Lampedusa  e la moglie Beatrice Mastrogiovanni Tasca di Cutò, detta Bice con il figlioletto Giuseppe, proprio quel Giuseppe che, anni dopo, avrebbe creato uno dei capolavori della letteratura italiana Il Gattopardo.

Palazzo Florio a Favignana
Regine e dame di corte. Persino un certo Giuseppe Tomasi di Lampedusa a Palazzo Florio

Fu proprio Bice, la mamma di Giuseppe ad essere protagonista del gossip dell’epoca perché, a quanto pare, uno dei focosi flirt di Ignazio Junior che facevano impazzire Donna Florio.

Poco distante da Palazzo Florio i Pretti, oggi albergo, collegato alla residenza dei Florio attraverso dei sotterranei e sede di cucine, scuderie e stanze della servitù. Dal lato opposto la chiesa di Sant’Antonio da Padova, voluta da Ignazio Jr e progettata dallo stesso Almeyda, che conserva ancora splendidi angeli Art Nouveau.

Oggi Palazzo Florio è proprietà comunale.

A Favignana c’è un mondo <sotto>

E’ un’isola dal <ventre> vuoto Favignana. Lì, nella parte orientale dell’isola <farfalla>, dove secoli addietro la preziosa calcarenite riempiva lo spazio, restano oggi cave, anfratti e gallerie scavate dai <pirriaturi>, i tagliapietra. La pietra che non c’è più la trovate in giro per il globo, su facciate e monumenti. Sui palazzi di Tunisi e su quelli di Messina dopo il terremoto del 1908, al Teatro Massimo e Palazzo Steri a Palermo, nelle tante residenze volute dai Florio.

Favignana, isole Egadi, Sicilia
Qui lo chiamano “camarruni”. Non sembra un corallo?

Gli enormi parallelepipedi, i <cantuna>, scavati fino al Novecento con strumenti quasi rudimentali, venivano fatti scorrere su scivoli di pietra lunga la costa, ancora visibili, e caricati su grosse barche, gli <schifazzi>.

“U cantuni avi a sunari”. E se la pietra non <sunava>, veniva abbandonata creando, ad ogni estrazione, una geografia nuova fatta di enormi anfiteatri, blocchi di pietra che si ergono come palazzi, pareti levigate nel tempo da vento e pioggia dalle forme fantastiche.

Ex cave di calcarenite. Bue Marino
Ex cave di calcarenite. Bue Marino. Un palcoscenico scavato nel tufo

Molte delle cave abbandonate sono state trasformate in giardini protetti naturalmente dal vento dove crescono fichi, limoni, carrubbi, viti e melograni, pini e agavi.

A Favignana “sporgetevi” anche quando sembra che l’orizzonte sia piatto e monotono. Molte delle case a Favignana nascondono orti e giardini e il centro abitato accoglie aree, dove un tempo si scavava pietra, che oggi sono centri culturali, come l’Arena Sant’Anna.

C’è poi la parte più selvaggia dell’isola dove a creare giardini e geometrie ardite ci ha pensato la natura. Francesca Cannavò, durante indimenticabili passeggiate al tramonto, me ne mostra gli angoli più belli, gli scenari a lei più cari. Come nell’area del Bue Marino, dove pezzi di archeologia industriale si mescolano a distese di timo, dai fiori azzurri in primavera, dal profumo penetrante e un enorme anfiteatro di tufo sembra pronto a fare da palcoscenico.

O a Scalo Cavallo, dove è possibile scorgere alcuni degli scivoli per i <cantuna> e dove gallerie e cunicoli cambiano forma ad ogni stagione; nei pressi del sito archeologico del Bagno delle Donne, dove una grande vasca con tracce di mosaici, forse una vasca per il garum, si intravede, in parte nascosta dalla macchia mediterranea.

Piante di capperi sfidano la forza di gravità a Cala Rossa e a Cala Azzurra e persino siti come l’affollato Lido Burrone nascondono piccoli angoli di paradiso dove godere in solitudine del rumore del mare.

Non solo orti e giardini

La pietra che si trasforma. La pietra che diventa arte. Il primo fu proprio un pirriaturi, Rosario Santamaria, per tutti lo Zio Sarino. In paese si racconta come riuscisse a creare teste antropomorfe e figure animali dalla pietra che cambia calore alla luce del sole e di quando regalava le sue creazioni al viaggiatore di passaggio.

Oggi Benito Alessandra continua a interpretare e creare bellezza dalla pietra delle Egadi. Benito Alessandra non è un pirriaturi ma da sempre trasforma la materia, sin da quando lavorava, ragazzino, in Eritrea dove ha vissuto e lavorato per il Vaticano per ben trenta anni. Ci è tornato da poco in Africa, ottantenne –  mi racconta –  e ha riconosciuto quanto costruito negli anni Trenta.

La sua casa a Favignana (dove ha partecipato al restauro di Palazzo Florio, del Municipio e all’attracco per gli aliscafi) è una galleria a cielo aperto che racconta l’isola e la sua vita.

Benito Alessandra. La pietra che diventa poesia e viaggio
Benito Alessandra. La pietra che diventa poesia e viaggio

Ci sono santi, pesci, gli abitanti di Favignana, i rais e i tonnaroti. C’è poi Benito, la sua passione per l’Egitto, una cantina scavata nel tufo, l’Eritrea. E la sua vita: in una parte del giardino c’è Benito con la sua aria dolce e scanzonata e Amelia, la moglie, compagna di una vita, che purtroppo non c’è più ma che lì, in quel giardino, sembra esserci ancora.

Ciao Amelia…

16 commenti Aggiungi il tuo

  1. Casalinga Sempre Felice ha detto:

    Stupenda Favignana, la conosco non perchè l’ abbia visitata ma perchè vi risiede un nostro conoscente che oltretutto è anche un bravo fotografo oltre che un bravo narratore 😊 e attraverso lui abbiamo imparato a “conoscere” Favignana

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    1. dettabroad ha detto:

      Sai che io la sognavo da anni? E sono stata fortunata perché l’ho vista con gli occhi di chi la conosce bene. Amici speciale come il tuo!

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  2. almeidadepaulo ha detto:

    Wonderful Benedetta!!!

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  3. rchiarappa ha detto:

    Che voglia di tornare a Favignana ci hai fatto venire! Noi ci siamo stati sette estati fa ma una giornata è troppo poco per godersela davvero e già allora ci siamo ripromessi di tornare. Speriamo di poterlo fare presto. Intanto abbiamo viaggiato con te!

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    1. dettabroad ha detto:

      Grazie Rosalia, sai da quanto tempo ci volevo andare…che sogno! E anch’io voglio tornare al più presto, magari anche a Levanzo e Marettimo.

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  4. untrolleyperdue ha detto:

    Bellissimo articolo e foto splendide…nelle tue parole e nelle immagini abbiamo rivissuto la nostra toccata e fuga a Favignana di circa 13 anni fa: quei colori e quei paesaggi ce li ricordiamo ancora oggi, e credo che prima o poi torneremo sull’isola, per fermarci e godercela con calma. Magari in settembre! 😉

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    1. dettabroad ha detto:

      Mi sembra un’ottima idea quella di settembre. Anche maggio o giugno non sarebbe male col profumo del timo in fiore. Ci sto pensando anch’io…me ne sono innamorata! Grazie ragazzi!

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