Trulli e filari. I Pastini, viticultori in Valle d’Itria

La vendemmia inizierà a breve a I Pastini. L’uva si raccoglierà come sempre a mano sistemandola con cura nelle cassette. Una ventina di persone tra cui gli stessi proprietari dell’azienda, la famiglia Carparelli, saranno impegnate lungo i 12 ettari e tre vigne: Cupa, Rampone e Faraone, a 350 metri sul livello del mare, esposte al sole dall’alba al tramonto e costantemente ventilate.

Lucia, moglie di Gianni, enologo di famiglia, mi confida che a raccogliere l’uva e soprattutto a selezionarla sono per lo più donne, più attente e capaci nella scelta degli acini da cui poi nasceranno i bianchi vanto dell’azienda: il Bianco d’Alessano, la Verdeca e il Minutolo, vini autoctoni di Puglia dove nascono i Pastini, tra Martina Franca e Locorotondo.

Poi a fine vendemmia la signora Rosetta preparerà la focaccia che ormai è tradizione e porta bene. E si farà festa sotto il grande gelso e nella parte antica dei Pastini, quella della vecchia masseria separata dalla nuova dalle rotaie della ferrovia che attraversa i vigneti e la Valle d’Itria. La visitiamo con Lucia ed è stupenda, con gli abbeveratoi e la piccionaia di una volta e l’inconfondibile energia che solo i trulli della Valle d’Itria sanno trasmettere. Respiri atmosfere antiche tra i filari protetti da rose e piante di fava, i guardiani dell’uva. La tradizione vuole che le viti, almeno le prime, vengano piantate col vecchio aratro, il pastino appunto e le piante benedette dal prete del paese.

A I Pastini va così, antico sapere, vitigni che il tempo stava cancellando e strumentazioni all’avanguardia in un’azienda nata solo nel 1996 e già così prestigiosa. Assaggio il Minutolo e penso che peccato sarebbe stato perderlo. La famiglia Carparelli lo ha recuperato, dando vita ad un bianco fortemente minerale che sa di fiori e frutti esotici. Non è un vitigno facile: è cocciuto come solo i pugliesi sanno essere e ha degli acini piccoli e delicati, da trattare con estrema cura.

Non è l’unico miracolo della cantina I Pastini. L’altro lo abbiamo scoperto nell’area più moderna, accogliente ed interamente ristrutturata dove la mamma di Gianni, la signora Rosa, ha preparato un aperitivo delizioso di taralli, frise, fave secche fritte e olive, serviti su piatti in ceramica pugliese. Gianni ci spiega i vini dell’azienda e ci aiuta a degustarli in una sala dalle ampie vetrate affacciate sui vigneti. Damigiane in vetro trasparente dal collo stretto e corto e la base panciuta scendono giù dal tetto a volta lungo archi di pietra color del miele. Tra i vini che proviamo, la scoperta di cui vi parlavo, il Susumaniello, un altro vitigno autoctono tra i più importanti del brindisino da cui nasce Verso Sud, un rosso che sa di mora e ciliegie. Lucia ci invita ad immaginare un asinello, il susumaniello in dialetto pugliese, carico e curvato per il peso. Poi ci invita a sostituire l’immagine dell’asinello con quella della pianta di vite, carica di grappoli d’uva come solo il susumaniello sa generare e di cui verrà alleggerita in gran parte perché solo i grappoli migliori diano vita  a questa delizia.

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