Stretto di Messina. In feluca

Ieri sera mi sono fermata da Franco, il pescatore che abita sotto casa mia. Era alle prese col calamaro alla griglia, cotto sulla carbonella in terrazza. Me ne ha  fatto assaggiare un pezzetto. Delizioso. Gli ho raccontato della mia giornata a bordo di una feluca, nello Stretto di Messina, a caccia di pesce spada.

Siamo a fine stagione e a breve la pesca del pesce spada si concluderà insieme alla stagione dell’accoppiamento durante la quale il pesce sale in superficie e viene pescato. Franco mi chiede se sono salita “in cima a ‘ntinna”, in cima all’antenna, quella verticale alta 40 metri, da cui il comandante governa la barca e il marinaio preposto individua il pesce. Quando lo  vede passa le coordinate al marinaio di vedetta all’estremità dell’altra antenna, orizzontale e di circa 30 metri, che veloce arpiona la preda.

Stretto di Messina
Stretto di Messina

Rispondo a Franco che “no, non sono riuscita  a salire sull’antenna”. Troppa paura. Ho osservato dal basso gli uomini della spadara arrampicarcisi, velocissimi e spediti, senza alcuna imbracatura. Sono saliti alle 6 del mattino, quando la feluca ha preso il largo e sono scesi alle 6 nel pomeriggio, al rientro in spiaggia. Solo uno di loro è sceso quando dall’alto hanno avvistato sei aguglie imperiali e c’era bisogno d’aiuto giù, per arpionarne una alla volta, tirare in barca il pesce, liberare la fiocina e passare velocemente all’altro esemplare. Ne hanno prese tre, una dopo l’altra, ed è stato uno spettacolo incredibile, cruento e indimenticabile: le urla, il rumore del motore, i movimenti rapidi dell’equipaggio, il momento in cui il tridente scatta, felino, e colpisce il pesce a pelo d’acqua, la frazione di secondo in cui no, non ce la si fa, l’animale è più rapido, batte l’uomo e fugge via.

Si può stare in acqua per ore senza riuscire a tirar fuori una sardina. Ogni feluca ha una “posta” a disposizione, un tratto di costa, oltre il quale non può andare. Il giorno dopo si passa in quella successiva. La prima a sud è nei pressi del villaggio Paradiso, davanti il fontanone, dove in tanti si fermano a riempire i bidoni d’acqua. L’ultima a nord, a Capo Peloro, sotto il pilone, poco prima che lo Stretto si allarghi e incontri Scilla e Cariddi, i mostri che attaccarono Ulisse. Le regole sono rigide e dettate da correnti che si alternano nel corso della giornata. La luna comanda sovrana e decide se la pesca sarà abbondante perché “è stato sempre così”, mi spiega un marinaio a bordo e Franco conferma annuendo. Dopo diverse ore mi convincono a percorrere timidamente metà dell’antenna orizzontale. Avanzo piano piano. Sotto i piedi vedo l’acqua blu vicinissima, sembra di camminare sul mare.

Stretto di Messina
Stretto di Messina

Il tempo a bordo passa con i racconti dei pescatori. Uno di loro mi dice che appena pochi giorni fa hanno avvistato uno squalo. L’hanno visto attaccare un pesce spada e tagliarlo in due di netto con un morso. Ne hanno ripescato la metà abbandonata. Pesava 45 chili.

Storie di mare, storie dello Stretto. Come quella del labrador che seguiva fedele il comandante a bordo della feluca. Arrivava fino in punta, sull’antenna orizzontale, ed era spesso il primo ad avvistare il pesce e a dare l’allarme abbaiando. Oggi non c’è più. Al suo posto, a bordo, c’è un cucciolotto di un anno a mezzo. Quando le tre aguglie sono arrivate in barca, per ognuna si è intrufolato e ha acchiappato al volo il pesce pilota, il pesciolino che viaggia sotto la pancia dell’aguglia. L’ha afferrato e nascosto in cabina per farlo trovare al comandante, il padrone, a fine pesca. Per il resto della giornata, il cucciolotto è rimasto per lo più sotto le mie gambe e quelle di Armando, a godersi le coccole.

Si è fatto tardi e la stanchezza comincia a farsi sentire. A largo, stasera, ci sono le barche dei pescatori che pescano con il “conzu di sumo”, il conzo di superficie, una lunga lenza a cui sono appesi gli ami con le esche. A fine lenza c’è un galleggiante con una luce a intermittenza, sulla barca un’altra fissa. Da qui le tante luci che si accendono e spengono creano un’atmosfera magica.

Finisco il calamaro e me ne vado a casa. “Buonanotte Franco, a domani”.

“Forse pel mio alzarmi presto, estate e inverno, sereno o brutto tempo, ancora notte, con le lune e le stelle, uscire, portarmi alla spiaggia, sedermi sopra un masso e aspettare l’alba, il sole che fuga infine l’ombre, i sogni, le illusioni, riscopre la verità del mondo, la terra, il mare, questo Stretto solcato d’ogni traghetto e nave, d’ogni barca e scafo, sfiorato d’ogni vento, uccello, fragoroso d’ogni rombo, sirena, urlo. Inciso nel suo azzurro, nel luglio, nell’agosto, dalle linee nere, dai ferri degli altissimi tralicci, alti quanto quei delle campate ch’oscillano sul mare, dal Faro a Scilla, che sono ormai l’antenne verticali e quelle orizzontali, ritte come spade sui musi delle prore, delle feluche odierne chiamate passerelle”. 

Vincenzo Consolo

9 commenti Aggiungi il tuo

  1. ninni ha detto:

    Bello una imperfezione perfetta…

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    1. dettabroad ha detto:

      Ciao Ninni …piacere di ritrovarti!

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