
Il vino è un dono. Per chi lo beve, per chi lo produce.
Occorre pazienza e passione perché le viti rispondano e regalino un buon calice.
A Pompei, nell’antica città romana, la prima etichetta nata dai filari che crescono tra le domus del meraviglioso parco archeologico ha richiesto pazienza e passione, ma anche tanto studio e caparbietà.
Frutto di un progetto stretto negli anni Novanta tra Soprintendenza e la centenaria azienda vinicola Mastroberardino, il Villa dei Misteri è più di un rosso profumato ed elegante, è un sorso di storia.

Le risposte da trovare nelle tracce lasciate a Pompei
I primi passi sono stati fatti all’insegna della ricerca storica. Occorreva capire quale posto avesse il vino nella vita delle popolazioni vesuviane, come e dove veniva coltivato. Quali erano le tecniche di viticoltura e vinificazione?
Ancora una volta la risposta è arrivata dalle tracce di vino nei dolium delle tabernae pompeiane, dai calchi delle radici delle viti e dei relativi paletti di sostegno, dagli incredibili affreschi, da un torchio “vecchio” di duemila anni rinvenuto proprio nella splendida Villa dei Misteri che ha dato il nome al vino firmato Mastroberardino.

Si comprese presto che i vigneti erano coltivati a mano e che spesso si trattava di vigneti urbani con validi sistemi di drenaggio e sentieri che consentivano l’accesso e il trasporto dei prodotti agricoli verso l’esterno.
Sulle stesse aree, per lo più nelle Regiones I e II, sono state ripiantate le vigne; Piedirosso, Sciascinoso e Aglianico i vitigni prescelti per un blend aromatico, vellutato, elegante. Quindici le aree a vigneto per un’estensione totale di circa un ettaro e mezzo. Il primo è il vigneto di Eusino, poi, nel 2000, quelli della Casa della Nave Europa, dell’Osteria del Gladiatore, del Foro Boario, della Casa del Triclinio Estivo, coltivati con le stesse tecniche di coltivazione precedenti alla grande eruzione con paletti di castagno inseriti sulle impronte dei paletti di 2000 anni fa. Infine, tra il 2007 e il 2009 l’ultimo mezzo ettaro, stavolta ad alberello con l’aglianico a far da padrone.

Con i proventi delle preziose bottiglie è stato possibile sostenere il restauro di una cella vinaria all’interno del Foro Boario, nei pressi dell’anfiteatro e della palestra grande. Una piccola costruzione e dieci unici dolia interrati, custodi del processo di vinificazione dalla notte dei tempi.
Atripalda. Di storia in storia. Di bellezza in bellezza…
Quando, nella seconda metà del Settecento, Pompei rivide la luce dopo secoli e Carlo di Borbone cominciò a trasferire i suoi tesori nella neo-nata Reggia di Portici creando l’Herculanense Museum, nella vicina Irpinia, nel piccolo villaggio di Atripalda, la famiglia Mastroberardino, artefice del ritorno del vino a Pompei, muoveva i primi passi.

Dopo due secoli, i vini Mastroberardino sono conosciuti a livello mondiale e il marchio Mastroberardino è considerato impresa di riferimento di un intero territorio che da sempre tutela e promuove, l’Irpinia, culla di tre DOCG: Greco di Tufo, Fiano di Avellino, Taurasi.
Ripercorrere la storia di dieci generazioni dei Mastroberardino è possibile nelle imperdibili cantine storiche, dal nucleo più antico, quello dove si calpesta ancora il basolato lavico che risale al tempo dei Borbone, sino a quello più moderno, nato sfidando due conflitti mondiali, la terribile fillossera, il devastante terremoto del 1980.

Cantine che oggi sono anche galleria d’arte con opere di Raffaele De Rosa, Maria Micozzi, Doina Botez, Patrizia Comand, Felice Nittolo, Coderch & Malavia, Salvatore Fiume e Aldo Melillo. Uno scrigno di saperi, un invito alla bellezza e alla passione che nel tempo ripaga sempre.

Appena sopra le cantine sono in atto gli scavi dell’antica colonia romana di Abellinum, in parte visitabili. Perché la bellezza chiama bellezza…
