Mandrarossa. Di vino, parole e persone

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Prima che dei loro sapore e profumo, mi sono innamorata dei loro nomi.

Urra di Mare, Cava di Serpe, Timpe Rosse. Evocativi, carattere asciutto ma elegante, su etichetta essenziale e bottiglia panciuta, i vini Mandrarossa mi hanno conquistata così: portandomi, a suon di lettere, in una Sicilia fatta di sole, di mare, di vento.

Siamo nelle terre sicane, sud-ovest della Sicilia, lì dove il mare di Sicilia sale dall’Africa e col suo profumo risale sino all’Alto Belice. Marinella di Selinunte, Menfi, Montevago, Sciacca, Sambuca di Sicilia, Contessa Entellina.

E’ a San Calogero, Monte Kronos, in terra agrigentina, che nel 2017 è stata trovata traccia del primo vino italiano che certificherebbe la presenza del nettare in Sicilia già 6000 anni fa.

Di vino, insomma, pare che da queste parti se ne intendano e lo producano da sempre. 60 anni fa lo si faceva per esportare uva e mosto, nel tempo il vino siciliano è diventato ricerca, innovazione, eccellenza. Lo testimonia la storia della cantina Settesoli, da cui nasce Mandrarossa e il cui nome è legato al Gattopardo, il celebre romanzo di Tomasi Di Lampedusa e al feudo, Settesoli, che Don Calogero Sedara diede in dote ad Angelica per il suo matrimonio con Tancredi, nipote del Principe di Salina.

Una realtà vinicola, nata nel 1958, da 25 milioni di bottiglie all’anno vendute in Italia e nel mondo, una cooperativa di viticoltori locali, oggi 2000 soci, che si occupano di una superficie vitata di 6.000 ettari. Tre gli stabilimenti dove le uve appena raccolte vengono conferite ed immediatamente lavorate da ogni socio, da ogni viticoltore, ciascuno col proprio pezzo di vigna, ciascuno con un prodotto diverso e strettamente legato al territorio.

Non c’è appezzamento uguale all’altro ed è da questa consapevolezza che nasce la linea Mandrarossa, con lo studio fatto su singole porzioni di terreno. Non solo vini autoctoni come Nero d’Avola, Inzolia, Cataratto: alchimie perfette sono nate in casa Mandrarossa grazie al connubio con viti nazionali, come il Fiano, internazionali come il Syrah, il Merlot, il Cabernet Sauvignon e con viti meno conosciute come il Petit Verdot, lo Chenin Blanc, l’Alicante Bouschet.

Uve a bacca bianca per il nuovo arrivato di casa Mandrarossa, il Calamossa, con su, nell’etichetta, longitudine e latitudine dell’insenatura tra vigne e mare dove le uve crescono, accarezzate da mare e vento; vitigni siciliani, Grecanico, Grillo, Zibibbo, Frappato e Perricone per i Costadune, la cui storia inizia lì dove gigli marini e piante cactacee nascono sulle dune di sabbia di Menfi, alla foce del Belice, lì dove nidificano aironi e fenicotteri, in un’area protetta di infinita bellezza. Bandiera Blu per le spiagge dorate di Portopalo e per quelle di “giache” bianche – ciottoli levigati – di Bertolino.

E ancora uve Chardonnay vendemmiate a mano a settembre, un mese dopo la tradizionale vendemmia. Lasciate a maturare sulla pianta, raccolte grappolo per grappolo danno vita al Cala dei Tufi, vendemmia tardiva.

Ricerca, tradizione, cooperazione. Tanti gli elementi che gravitano attorno al marchio Settesoli – Mandrarossa. Tanto territorio, raccontato al visitatore con eventi e visite guidate. L’appuntamento dell’anno più importante, il Mandrarossa Vineyard Tour, all’insegna dell’accoglienza e, come leitmotiv, bienvivre e rispetto dell’ambiente.

Infine le persone, chiave di volta dell’intero ingranaggio: dai viticoltori e soci, che ho visto personalmente raccogliere il proprio prodotto, percorrere le strade del “distretto del vino siciliano” e raggiungere lo stabilimento di Menfi; a chi mi ha accolto in fabbrica con un grazie speciale per Niccolò, fine ed esperto narratore; ed infine alla Brigata di Cucina, un team di sole donne, rigorosamente siciliane e con tanta esperienza alle spalle maturata a tu per tu coi prodotti che questo pezzo di Sicilia regala. Sono loro che propongono ed insegnano piatti della tradizione spesso dimenticati.

Un esempio? La Capolata, una pastina casereccia cotta nel brodo di pollo ruspante, la Rota di Menfi, il fiore di pasta fritto ricreato con uno stampo antico e farcito con la ricotta fresca, l’Ovu Incannulato, l’antenato del cannolo fatto di morbida omelette che profuma di limone e cannella.

Vini eccezionali, cibo autentico, persone vere, un territorio indimenticabile. Mandrarossa, what else?

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