Hue. Nel Vietnam imperiale

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Arrivo a Hue sotto una pioggia battente. Non si vede a un metro di distanza, un muro d’acqua rende l’antica capitale degli imperatori Nguyen sbiadita e grigia. Dentro il taxi che dall’aeroporto mi porta all’ostello, prenotato in Italia, il caos e il traffico mi arrivano come ovattati, distanti.

Hue. Il Vietnam imperiale
Hue. Il Vietnam imperiale

<E’ gennaio>, mi dice la padrona di casa dell’Homestay Le Robinet,  <occorre aspettare ancora un po’ perché non piova più così>. Mi sento molto stupida. Organizzo da anni i miei viaggi e a Hue mi aspettavo di trovare il sole e le barche tipiche e colorate lungo il Fiume dei Profumi a far la spola tra le due sponde, quella che protegge la Cittadella, la città voluta dall’imperatore Gia Long nel 1802 e quella su cui sorge la città moderna, dove già mi vedevo a curiosare tra vecchio e nuovo, torte di riso reali, di cui a corte pare fossero ghiotti, e lo street food locale.

A Hue in ostello

Ho solo fatto i miei programmi giocando a dadi con latitudine e longitudine e il Vietnam, stretto e lungo si è preso gioco di me. Ho aspettato che spiovesse un po’ scoprendo che l’ostello scelto, Le Robinet Homestay è una villa di inizio Novecento in perfetto stile coloniale come molte presenti nel circondario, a due passi dalla Cittadella.

All’ingresso c’è una foto dei parenti della padrona di casa, una giovane donna che vive qui con il marito e ha scelto di restare. Tutti gli altri sono andati lontano, in America per lo più. <A me piace vivere qui, in Vietnam>, mi confida e non esita a mostrarmi la stanza degli antenati.

Rimango senza fiato. Sapevo che ogni casa in Vietnam ha uno spazio riservato a chi non c’è più, uno spazio in cui, durante il Tet, il capodanno vietnamita, ci si riunisce in attesa che gli antenati vengano a far visita. La stanza che mi ritrovo davanti è molto grande e ha un primo altare che ne nasconde un secondo, dove le immagini dei defunti si alternano a offerte e incensi. Molte sono in bianco e nero, i dettagli riportano a tempi lontani. Immagino l’arrivo dei francesi, il primo assalto alla Cittadella nel 1885, poi quello dei Viet Cong durante l’offensiva del Tet nel 1968, seguiti da marines e soldati sudvietnamiti.

Finiamo a chiacchierare davanti una tazza di thè allo zenzero, troppo dolce, ahimè, per me, in un viavai di giovanissimi che entrano e escono accolti da una nidiata di cuccioli di cane appena nati. Mi decido a uscire, rischiando di scivolare per terra più di una volta, diretta a Les Jardins de la Carambole, superando piccoli empori sonnecchianti e gente del posto che prova a fumare una sigaretta sfidando la pioggia incessante.

Il ristorante è ricavato in un edificio in stile coloniale, vecchia Indocina. Qui tutto ricorda quel periodo, dagli arredi alle gentili e silenziose donne in ao dai che ti accolgono  e ti seguono ovunque. Sui muri splendide ed enormi gigantografie in bianco e nero.

Alla scoperta delle tombe imperiali

Passo la nottata in bianco, forse comincio ad essere un po’ troppo vecchia per la soluzione ostello ma al mattino, con la luce, mi sento meglio e parto ringalluzzita alla volta delle tombe imperiali appena fuori Hue. Ho prenotato un driver e scelto di visitare la tomba di Minh Mang e quella di Khai Dinh, tra tutte quelle presenti appena fuori il centro di Hue.

Arrivata alla scalinata che conduce al cortile d’onore di quest’ultima mi dico che vorrei avere più tempo per vedere i tanti mausolei, templi e pagode di Hue. Resto ad osservare le statue in pietra a grandezza naturale dei mandarini che proteggono la tomba di Khai Dinh, il penultimo imperatore sul trono dal 1916 al 1925. La pietra grigio scuro di cui tutto è fatto  crea un’atmosfera surreale, quasi onirica. Superate altre rampe di scale ed arrivati all’edificio principale lo scenario cambia: è un’esplosione di colore che ricopre pareti e soffitti con dipinti e mosaici, una piena manifestazione di ricchezza e opulenza. Sotto un enorme baldacchino picchiettato d’oro la statua in bronzo dorato dell’imperatore sotto la quale, ad una profondità di 18 metri, riposa.

I resti di Minh Mang sono ancora più celati e irraggiungibili: ci si arriva solo dopo aver attraversato  possenti mura, cortili, padiglioni, templi e terrazze. Ogni ambiente, collegato da scale e ponti ed intervallato da laghi, è un inno alla bellezza, un perfetto equilibrio tra natura e mano dell’uomo.

Al di là del ponte in pietra che supera il Lago della Luna Nuova, l’ultima scalinata con balaustre a forma di drago porta al sepolcro la cui porta è ben serrata. Viene aperta solo una volta all’anno, in occasione dell’anniversario della morte dell’imperatore.

La Cittadella

Ho ancora del tempo e lo dedico interamente alla visita della Cittadella. Faccio il mio ingresso da porta Ngo Mon, un tempo riservata all’imperatore Gia Long che qui, nel 1802, volle trasferire la capitale da Hanoi e dove l’ultimo imperatore della dinastia Nguyen, Bao Dai, abdicò il 30 agosto 1945 di fronte a una delegazione inviata da Ho Chi Minh.

Scatto una foto dello stesso viale appena fuori la Cittadella immortalato da un fotografo negli anni peggiori. Riconosco il posto vedendo quell’immagine nell’esposizione Requiem a Ho Chi Minh City.

La Cittadella è immensa, grandiosa, infinita. Una cinta muraria lunga 10 chilometri e spessa 2 metri, un fossato 30 metri largo e 4 profondo e 10 porte lungo tutto il perimetro. Osservo i Nove Cannoni Sacri, quattro dei quali rappresentano le quattro stagioni e gli altri cinque gli elementi: legno, acqua, metallo, fuoco e terra.

Attraverso il Recinto Imperiale, il palazzo di Thai Hoa, il Teatro Reale. Molto è andato distrutto e ampie zone sono state abbandonate ai fiori selvatici. Tante sono in via di rifacimento, altre sono state restaurate. Dalle rovine di palazzo Can Chanh sono state ricostruite due lunghe e stupefacenti gallerie ricoperte da lacca scarlatta. I Giardini di Co Ha, sapientemente ripristinati sono un’oasi verde dove gazebo e laghetti si alternano.

Ne scelgo uno dove è stato allestito un caffè e mangio qualcosa servita da un simpatico vecchietto. Ne conserverò un ricordo indelebile.  Supero la residenza di Dien Tho, quella di Truong San, mi perdo in quella che una volta fu la Città Purpurea Proibita dove risiedevano le concubine reali e solo l’imperatore e i servitori eunuchi erano autorizzati ad entrare.

Scatto ancora qualche foto, so che un driver mi aspetta per portarmi a Hoi An e faccio a me stessa una promessa, quella di tornare in questo luogo di memoria e storia.

7 commenti Aggiungi il tuo

  1. Falupe ha detto:

    La Cittadella è qualcosa di grandioso; architettura, giardini, laghetti, palazzi e templi. Qualcosa di inimmaginabile. Uno dei luoghi da non perdere in un viaggio in Vietnam

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    1. dettabroad ha detto:

      Peccato aver avuto solo poche ore. Questa parte del paese merita molto più tempo. È il Vietnam che ti prende in giro: stretto e lungo, pensi di riuscire a mettere un po’ tutto in un unico viaggio ignorando invece quanto abbia da offrire…

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  2. MondoArchitettura ha detto:

    Dalle tue fotografie questi luoghi sembrano essere piacevolmente silenziosi, molto spirituali

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    1. dettabroad ha detto:

      lo sono. Certo la giornata di pioggia ha aiutato ma nonostante il numero comunque elevato di visitatori un silenzio quasi surreale mi ha accompagnato durante tutta la visita. E devo dire mi ha fatto apprezzare questi luoghi in modo particolare…

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  3. untrolleyperdue ha detto:

    Trovare la pioggia può dar fastidio, ma…posso dire? Ci sono luoghi che con la pioggia sono un vero incanto e credo che sia proprio questo il caso. Che atmosfera magica traspare dalle foto! Occhi a cuoricino per Hue e per la sua Cittadella! 🙂

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    1. dettabroad ha detto:

      Vi piacerebbe ragazzi! Dopo aver letto il vostro reportage sulla Thailandia ne sono certa!

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