La prima cosa che senti è il rumore dell’acqua. Aumenta scendendo le scale, “a lumachella”, che arrivano fino alle vasche dove si lavavano i panni. Si vedono i segni sulla pietra viva dove braccia energiche strofinavano lenzuola e camicie.

Sono a Cefalù e davanti agli occhi ho la meraviglia dell’antico lavatoio medievale sul corso principale. Su, in strada, botteghe colorate, camioncini stracolmi di frutta e verdura stagionali, laboratori artigianali. Un allegro caos siciliano. Ma qui, vicino le bocche di ghisa con le teste leonine, avverto solo il rumore dell’acqua. E io ho un debole per il rumore dell’acqua. Sembra una ninna nanna, ritmica e conciliante.

All’ingresso c’è una targa che dice: “Qui scorre Cefalino, più salubre di qualunque altro fiume, più puro dell’argento, più freddo della neve”.  Cefalino, che la leggenda vuole generato dal pianto di una ninfa pentita di aver punito con la morte il tradimento del suo amato.

All’antico lavatoio di Cefalù andateci al mattino presto, o fuori alta stagione, quando i turisti da tutto il mondo sono pochi, e siete solo voi, a godervi la frescura degli alberi profumati, l’antico palazzo Martino, il rumore dell’acqua.

Le vedete? Potete solo per un attimo immaginarle? Sono le donne che lavano i panni cantando, mentre l’acqua scorre via e raggiunge il mare, dai mille verdi e i mille blu. I pescatori sono ancora lì, a sistemare le reti e riverniciare le barche. Aspettando l’estate.