Le poltrone sono due.
Una è quella del treno Fiumicino-Termini sul quale ho incontrato lei, Simonetta Agnello Hornby. Così come me la immaginavo: diretta, pochi fronzoli, sguardo acuto a cui non sfugge niente. Una palermitana che, trasferitasi a Londra, si è messa a fare l’avvocato in un quartiere di immigrati e ha creato Hornby and Levy, il primo studio d’Inghilterra con un settore per i casi di violenza all’interno della famiglia. Una tipa tosta insomma.
L’altra, di poltrona, è quella da cui ho fatto viaggi memorabili con i suoi libri. Ho seguito la storia di Costanza, Maria, zia Anna. Le donne di Simonetta Agnello Hornby sono tutte indomite, appassionate, capaci di piegare e cambiare il loro destino lentamente, con ostinazione.
Lo fanno sullo sfondo di una Sicilia che cambia nei secoli, a volte prepotente, violenta, arcaica. Altre solare, profumata e molto femminile. Riti ancestrali, parole non dette ma suggerite con uno sguardo, complicità tra sorelle, tra una madre e una figlia.
Ricettari di nonne e zie colmi di odori e sapori siculi. Cassate e pecore di pasta reale con ripieno di pistacchio che richiedevano giorni interi di preparazione. Non prima però del rito della “levata”, vale a dire il togliersi anelli e gioielli prima di cominciare. Cuccia e ricotta calda condite da aneddoti di famiglia, da pezzi di vita che scorrono sui grandi eventi della storia. Una Palermo che cambia, coi suoi riti e il suo struscio, per comperare le scarpe o l’abito della stagione e il gioiello per la dote, lungo viali dove ancora ci sono ville meravigliose, a breve abbattute.
E poi sapori antichi, come i pupi di zucchero che i bambini siciliani ricevevano in dono, da gustare lentamente, fino alla fine. Erano damine, pastorelle o ballerine, paladini e persino un Garibaldi, da “leccare” e far durare così il più a lungo possibile.