“Papà, quando andiamo in albergo?”. A parlare è Damiano che qualche mese fa ci ha accompagnato in Scozia e che, nel frattempo, di chilometri ne ha macinati parecchi con mamma e papà. Ivan mi spiega che “andare in albergo” in realtà sta per “prossimo viaggio/prossima avventura”. Perché Damiano ci ha preso gusto e ormai tra amici e parenti è considerato un vero viaggiatore.
Ricordo le chiacchierate fatte con Valeria, la sua mamma, prima della partenza per gli Stati Uniti. Le mille paure per un viaggio che temeva fosse troppo lungo e troppo lontano per un bimbo di appena 4 anni.
La risposta ai dubbi di Valeria sta tutta nelle immagini che scorrono sul monitor durante una serata con amici speciali. Immagini che riprendono Damiano con mamma e papà alle Niagara falls, le mitiche cascate tra Stati Uniti d’America e Canada.
Buffalo da un lato e Toronto dall’altro, 52 metri di salto, in realtà non tra le più alte, ma di certo tra le più spettacolari per forma e portata d’acqua. Le cascate del Niagara sono tre, tutte originate dal Niagara river, tra i due laghi Erie e Ontario: Canadian falls, American falls e le più piccole, le Bridal Veil. Le più conosciute, quelle che abbiamo visto al cinema e in tv, sono le prime, dette Horseshoe falls per la loro forma, proprio a ferro di cavallo. Ed è nella parte centrale del “ferro di cavallo” che piccole imbarcazioni si avventurano, sempre più al centro, sempre più nel cuore della cascata, dove l’acqua sembra abbracciarti.
Le Niagara falls, Ivan e Valeria hanno scelto di visitarle dal lato canadese e di passarci la notte perché “sbirciare dalla finestra dell’albergo, di notte, quando fuori è silenzio e senti solo il fragore dell’acqua e le vedi illuminate nel buio pesto è un’emozione impagabile” – mi dice Valeria. Damiano ricorda bene invece l’avventura sul battello perché prima ancora che ne arrivino le immagini continua a dirmi che “loro sono i rossi!”.
Rosso è infatti il colore a tema delle imbarcazioni che partono dal lato canadese delle cascate, blu se si parte da quello americano. E rossi sono anche gli impermeabili che ti forniscono a bordo. In realtà gli impermeabili non servono a molto perché più ci si avvicina alla Horseshoe fall, più l’acqua schizza ovunque e si solleva in nuvole da milioni di goccioline attraverso cui passa l’arcobaleno, uno di quelli strepitosi, dai colori vividi e vivaci, grandissimo.
Nell’acqua della Horseshoe e nel frastuono che solo una tale portata può generare, assordante, potente, selvaggio, c’è solo una cosa, nitida e forte, che riesci a sentire: la risata di Damiano, le sue grida di pura, autentica, incontenibile euforia.
E se avessi ancora bisogno di conferme su come sia speciale viaggiare con un bambino, mi basta sentire Damiano che, ascoltando la spiegazione di Valeria sul perché i palazzi a New York si chiamino “grattacieli”, chiede tranquillo: “mamma, allora perché non <grattasole>?”. Altro da aggiungere?
Un racconto eccezionale e perfetto nella descrizione. Complimenti al redattore.
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